Nella stragrande maggioranza delle competizioni – che si tratti di sport a livello amatoriale o agonistico oppure di semplici giochi di società tra amici – arrivare ultimi significa perdere.
Nel mondo del ciclismo italiano però, c’è stato un periodo in cui tagliare il traguardo per ultimi significava avere non solo la possibilità di diventare famosi, ma anche di vincere un premio in denaro. Dal 1946 infatti, gli organizzatori del Giro d’Italia istituirono il premio Maglia Nera al corridore che avrebbe impiegato il maggior tempo per completare la gara.
Le origini
Nel 1946, dopo cinque anni di guerra di cui gli ultimi due caratterizzati da un terribile conflitto civile, la corsa rosa tornò a rinascere.
La prima edizione del Giro del secondo dopoguerra ripropose il duello tra i due grandi atleti che avevano caratterizzato la scena ciclistica dell’anteguerra: Fausto Coppi e Gino Bartali (e chi altrimenti?). La rivalità al Giro d’Italia infiammò il tifo degli appassionati che popolarono i bordi delle strade della penisola.
Soprattutto in quell’anno però, non solamente i migliori venivano incoraggiati e spinti verso la conquista della maglia rosa, bensì anche l’ultimo ciclista era supportato dal tifo. Oltre alla maglia nera indossata dal peggior ciclista, venne introdotto un vero e proprio premio.
In un contesto delicato come quello dell’Italia post Seconda Guerra mondiale, la scelta del colore nero assunse una connotazione politica per niente irrilevante.
Durante i vent’anni precedenti infatti, la camicia nera era stata simbolo del regime fascista, il quale imponeva di indossarla a molte persone. La scelta degli organizzatori di far mettere la maglia nera all’ultimo classificato si potrebbe leggere come tentativo di proporre una cesura con il passato fascista. Lo stesso Vincenzo Torriani (1918-1996) infatti, per anni patron del Giro, non nascose mai le sue simpatie antifasciste e, molto probabilmente, dietro questa decisione c’era il suo zampino.
Il colore nero dunque, da simbolo di ordine, autorità e volontà di imporsi sull’altro, passò ad essere riservato agli ultimi classificati, i meno potenti.
Oltre al significato politico, l’introduzione della maglia nera occupò una valenza strategica dal punto di vista di marketing: anziché abbandonare le strade subito dopo che i primi hanno tagliato il traguardo, gli spettatori si fermavano ad aspettare l’ultimo ciclista, generando un nuovo tipo di rivalità diverso da quello tra i grandi campioni.
I campioni alla rovescia
Dall’edizione 1946 a quella del 1951 la contesa per la nuova maglia fu accesa: numerosi ciclisti iniziarono a intravedere la possibilità di vincere qualcosa arrivando ultimi.
I campioni del tempo massimo infatti non furono realmente i ciclisti più scarsi delle edizioni del Giro. Anzi, i corridori che terminarono la corsa con la maglia nera addosso furono tutti atleti che avrebbero potuto lottare per le prime posizioni di classifica o almeno aiutare i campioni a raggiungere la vittoria finale. In effetti, nomi come Aldo Bini, Mario Gestri e Giovanni Pinarello – vincitori rispettivamente della maglia nera nel 1948, 1950 e 1951 – erano famosi già negli anni precedenti grazie ai loro buoni piazzamenti alle gare.
I premi e la notorietà della nuova maglia divennero un buon motivo per gareggiare per essere gli ultimi classificati.

Giovanni Pinarello, maglia nera alla 34esima edizione del Giro, 1951 (da Wikimedia Commons)
Campione delle retroguardie fu il piemontese Luigi Malabrocca (1920-2006), ultimo classificato nel 1946 e 1947 che nel corso della sua carriera riuscì anche a tagliare il traguardo per primo una quindicina di volte.
Nel 1949 però, Malabrocca dovette competere con un altro maestro della sconfitta: Sante Carollo (1924-2004). Il vicentino corridore della Wilier Triestina riuscì a conquistare la maglia nera battendo proprio Malabrocca.
I due contendenti cercarono qualsiasi espediente pur di concludere la corsa dietro l’avversario. Alcune testimonianze riportano episodi curiosi in cui i due corridori furono protagonisti. Ad esempio, Carollo era solito indossare due orologi per controllare il tempo massimo; secondo altre voci entrambi i ciclisti si nascondevano nei fienili delle case per far credere all’altro di essere davanti. In una tappa, sembra anche che il corridore vicentino sia stato obbligato a sostituire la sua bicicletta rotta con quella di un bambino.
Nella tappa finale del Giro del 1949, Malabrocca tentò di conquistare la maglia nera fermandosi a mangiare e bere in un’osteria approfittando di una foratura e arrivando al traguardo di Monza con oltre due ore da Carollo, rimasto in mezzo al gruppo. I cronometristi però, stanchi di aspettare per ore, assegnarono a Malabrocca lo stesso tempo del gruppo, assegnando così la vittoria dell’ultimo classificato a Sante Carollo.
La fine del mito
Nel 1951 la maglia nera fu abolita dopo le numerose proteste da parte di altri corridori che ritenevano poco sportivi e rispettosi i modi utilizzati per conquistarla. Tuttavia, con molta probabilità, questa decisione non fu ben accolta da molti tifosi che si erano ormai abituati a questa curiosa novità.
Dopo quasi sessant’anni – nel 2008 – il tentativo di ripristinare la tradizione dell’ultimo classificato rinasce, tuttavia il riconoscimento non avviene più con l’assegnazione di una maglia, bensì con un numero nero. A differenza di fine anni Quaranta, gli organizzatori prevedevano più alcun premio in denaro per l’ultimo arrivato.
Questo esperimento legato alla tradizione passata non ha avuto alcun seguito oltre il 2008, ma il mito della maglia nera rimane nei cuori e nei ricordi dei più nostalgici appassionati della corsa rosa.
Per un maggior approfondimento sulle avventure della maglia nera Benito Mazzi ha scritto il libro Coppi, Bartali, Carollo e Malabrocca pubblicato una prima volta nel 1993 e riedito nel 2005 dalla casa editrice Ediciclo.
Se invece vuoi approfondire il tema riguardo alla storia del Giro ti consiglio la lettura di Pedalare! La grande avventura del ciclismo italiano dello studioso inglese esperto di storia contemporanea italiana John Foot e Il Giro d’Italia. Dai pionieri agli anni d’oro di Mimmo Franzinelli.