
Un dettaglio del Trionfo della Morte, un affresco trecentesco dipinto presso il Camposanto di Pisa (da Wikimedia Commons).
Il Trecento è un secolo di grandi cambiamenti. L’enorme crescita sociale, politica, economica e demografica che aveva sostenuto l’espansione dei secoli precedenti giunge in questo secolo al termine, aprendo una stagione di netto declino. È il secolo della Peste, la grande mietitrice che uccise circa un terzo della popolazione, e di grandi conflitti, come la Guerra dei Cent’anni (1337-1453). Ma è anche il secolo dell’inizio della più subdola Piccola Era Glaciale, un periodo di crisi climatica che si estenderà sino al XIX secolo, e di lunghe carestie. Declinano i commerci, si contrae la produzione, si riducono i salari. Più in generale, peggiora la qualità di vita. Non deve dunque stupire che in un simile ambiente le rivolte popolari fossero estremamente diffuse e comuni. Poche, tuttavia, lasciarono un segno duraturo come fece il Tumulto dei Ciompi.
Alcune questioni
Svoltasi nella Firenze del 1378 questa rivolta di stampo popolare trovò grande spazio sia nelle cronache di poco successive, sia nella storiografia del Novecento, in quella marxista ma anche in quella di stampo conservatore. Il problema che tuttavia incorre nell’interfacciarsi con simili fonti o studi, a seconda dei casi, è il pregiudizio che tende a caratterizzarli. Se infatti da una parte le fonti coeve tendono ad essere maldisposte nei confronti dei Ciompi, i saggi moderni o tendono ad adottare un approccio fin troppo anacronistico, o a non riconoscere l’operato del popolo come autonomo. Nonostante questo crei alcune difficoltà, con un po’ di attenzione è possibile ricostruire l’evento in maniera il più imparziale possibile.
Firenze e la Toscana del Trecento

Miniatura raffigurante Coluccio Salutati, cancelliere di Firenze durante la Guerra degli Otto Santi (da Wikimedia Commons).
Come dunque già accennato il Trecento è un secolo di grandi avversità per l’Europa tutta e anche la Toscana non fa eccezione. Oltre alle conseguenze dovute alla Peste infatti fu colpita da una generalizzata crisi economica che si tradusse in una riduzione dei salari medi e del loro potere d’acquisto. Ciò portò ad una crescita dei cosiddetti nihil habentes con alcune città come la stessa Firenze che nel 1371 contano il 66% dei lavoratori appartenenti a quella “categoria”.
A peggiorare ulteriormente la situazione a Firenze fu anche la guerra che, assieme ad altri comuni, tra cui Bologna e Siena, intraprese nel 1375 in opposizione alle politiche espansionistiche che il Papa aveva adottato nel tentativo di assoggettare l’Italia Centrale. Oltre agli enormi costi per l’ingaggio e la manutenzione delle truppe che dovette sostenere infatti la città venne anche colpita da un interdetto di Gregorio XI. Ciò ebbe enormi conseguenze sia sul commercio che sull’industria laniera, facendo sprofondare ancor di più nella miseria le fasce sociali più deboli.
Giugno
A giugno scoppiò la prima delle tre insurrezioni che caratterizzeranno il Tumulto dei Ciompi. A far deflagrare questi disordini non furono, o almeno non esclusivamente, le condizioni socioeconomiche che caratterizzavano la città in quegli anni, ma bensì le politiche e gli obiettivi politici di due delle figure protagoniste nella politica dell’epoca, la Parte Guelfa e Salvestro de Medici, assieme al gruppo di maggiorenti da lui guidati.

Una veduta odierna del Palagio di Parte Guelfa (da Wikimedia Commons).
La prima era una nient’altro che una societas di eminenti membri dell’aristocrazia cittadina accomunati dalla loro comune lealtà per il Papato e la Francia. Nata come un’associazione informale con il 1358 assunsero un ruolo quasi semi-ufficiale all’interno delle istituzioni urbane, occupandosi di «ammonire» e, dunque, bandire tutti quegli individui che loro non ritenevano essere abbastanza Guelfi. Per chiare affinità con la Santa Sede erano fortemente antibellicisti. Il secondo, invece, era invece uno dei più importanti patrizi della città, arrivando a ricoprire proprio quell’anno la carica di gonfaloniere di giustizia. Fortemente avverso alla Parte voleva limitarne il potere, probabilmente puntando ad ottenere un più solido controllo sul comune.
L’occasione per spodestare la Parte giunse, appunto, nel giugno 1378. Per via della sua posizione opposta alla guerra infatti, secondo alcune fonti, la Parte stava pianificato per il 24 un putsch per estromettere dal governo le gilde. La voce di questo presunto golpe giunse dunque alle orecchie di Salvestro e della sua fazione, che, il 21 fecero scoppiare una ribellione contro di lei. A dare loro supporto furono non solo il cosiddetto popolo minore, cioè i membri delle gilde minori, ma anche i salariati sottoposti all’arte della Lana, i cosiddetti Ciompi.
Nonostante la breve durata, limitata a soli pochi giorni, questa rivolta fu caratterizzato da un alto livello di violenza. Diverse bande armate infatti girarono per la città saccheggiando molteplici chiese e anche le case di vari membri della Parte. Alcune di queste vennero persino bruciate alle fondamenta. Di fronte ad una simile sollevazione popolare e a tali livelli aggressività i componenti della Parte non poterono far altro che andarsene dalla città, di fatto segnando la vittoria degli insorti.

Il simbolo dell’Arte della Lana, posto anche sul suo gonfalone (da Wikimiedia Commons).
Più che espressione di un disagio sociale, dunque, questo primo tumulto sembrerebbe essere stato motivato dalle ragioni politiche di una piccola porzione dei cittadini. Nonostante l’influsso di Salvestro sia stato fondamentale nel dargli il via, non si può ignorare l’autonomia che il popolo minuto ed i Ciompi potevano avere. Gli attacchi alle varie proprietà, per esempio, potrebbero essere sì letti come la tipica scorreria di una folla informe, ma sarebbe probabilmente fin troppo riduttivo. L’assalto alle chiese, centri di potere religioso, accade in un momento di forte tensione tra i fiorentini e il Papato, e potrebbe essere quindi letto come una sorta di vendetta per le risoluzioni adottate da quest’ultimo. Anche l’aggressione alla Parte potrebbe essere letta, del resto, tenendo conto che questa era una degli alleati della Lana, gilda particolarmente odiata dai salariati della stessa per via delle pratiche oppressive che adottava.
Luglio
L’insurrezione di giugno, tuttavia, non portò al popolo minuto alcun risultato significativo al di là della cacciata dei “Guelfi”. Ciò che tuttavia servì a dimostrare loro ed alle istituzioni l’influenza che una simile coalizione poteva esprimere. Fu dunque la realizzazione di questo potere che li spinse a chiedere riforme più sostanziali al sistema politico fiorentino. A partire infatti dal 12 di quel mese un gruppo di rappresentanti delle arti minori e dei salariati della lana si cominciarono a riunire per delineare un programma unitario. Queste proposte, che saranno poi inserite nella più approfondita petizione del 21 luglio, puntavano sostanzialmente a riservare alle arte minori una maggior partecipazione al governo cittadino e la creazione di tre nuove gilde per i salariati in modo che potessero anch’essi entrare nel governo.
In contemporanea a questa bozza venne anche preparata una nuova insurrezione per il 20 luglio. Tuttavia, i loro piani vennero scompigliati quando il 19 il governo, venuto a conoscenza dei piani dei loro intenti fece arrestare quattro dei loro «caporali», torturandoli alla corda per estrapolare loro informazioni sulla congiura. L’indomani, i minuti saputo di questi arresti decisero di agire comunque, suonando le campane e convocando la propria milizia in Piazza, chiedendo di liberare i prigionieri.

Veduta di Palazzo Vecchio, allora Palazzo dei Priori, sede del governo cittadino (da Wikimedia Commons).
I Priori, costretti a barricarsi all’interno del proprio palazzo perché ormai assediati dalla folla riottosa, tentarono di chiamare a sé le truppe cittadine. Queste, tuttavia, non risposero, forse temendo una folla armata e violenta che nuovamente si stava dedicando a saccheggi e violenze, arrivando addirittura a linciare il Gonfaloniere di Giustizia Nuto della Città di Castello.
Nonostante queste violenze l’insurrezione terminò il 22 giugno in maniera sostanzialmente pacifica, grazie all’azione di Michele di Lando. Figura alquanto enigmatica compare per la prima volta alle cronache come uno dei redattori della petizione dei 21. Secondo Marchionne di Coppo Stefani, cronista dell’epoca, si trattava di uno scardassiere al servizio di Alessandro di Nicolaio, la cui madre e la moglie si occupavano di vendere verdure al mercato, rendendolo dunque un membro del volgo. Alcuni recenti studi, tuttavia, lo associano ad un Michele di Lando del Volpe citato in dei documenti del Tribunale della Mercanzia per non aver pagato debiti per un totale di circa 2000 fiorini. Si tratta di una somma non indifferente, che lo assocerebbe alla piccola-media borghesia. Fu lui che, disarmato e con il gonfalone di giustizia in mano entrò solo nel palazzo dei Priori e li convinse ad andarsene, siglando la vittoria della coalizione popolare.
Agosto
Quest’azione valse a Michele di Lando non solo la posizione di Gonfaloniere di Giustizia, ma anche la possibilità di riempire il vuoto istituzionale lasciato dai priori deposti, andando a creare un nuovo esecutivo per il mese di agosto. Ciò permise di attuare già tra il 24 ed il 25 luglio alcune delle riforme chieste dal popolo, tra cui la creazione delle tre gilde per i salariati della Lana e anche la formazione di alcune milizie comunali popolari proprie.
Ben presto, tuttavia, questo nuovo governo cominciò a tradire le aspettative che lo avevano condotto al potere, avvicinandosi maggiormente agli interessi dei magnati cittadini. Ciò fece crescere nuovamente il malcontento tra la popolazione degli strati sociali più umili, che stavano subendo anche le conseguenze di una nuova serrata imposta dalla Lana.
La rottura giunse il 27 agosto i Ciompi, stanchi della situazione, decisero di eleggere delle proprie “magistrature”, che fossero autonome rispetto al Comune e, soprattutto un’effettiva incarnazione dei loro interessi. Questi Otto rappresentanti presero dunque il nome di Santi del Popolo di Dio. Il nome è già, di per sé, un interessante indicatore di quello che doveva essere l’obiettivo di questo organo. Riferito agli Otto della Guerra, coloro che avevano gestito la guerra contro il Papato, e che si erano occupati di espropriare i beni ecclesiastici fiorentini, gli Otto Santi eletti dai Ciompi dovevano probabilmente fare lo stesso ma applicandolo ai cittadini grassi, in favore del “popolo di Dio”, cioè ai poveri di Firenze, livellando così le disuguaglianze.

Il carcere delle Stinche in un quadro ottocentesco (da Wikimedia Commons).
Il giorno successivo, festa di S. Lorenzo, i Ciompi si riunirono presso piazza S. Marco, anche per meglio definire una nuova istanza da presentare al governo. Da lì, quel giorno, si mossero due gruppi. Uno guidato da Luca da Panzano, un maggiorente nominato dai minuti loro cavaliere e latore della petizione, si diresse verso il palazzo della Parte, per impadronirsi del vessillo di quest’ultima. Questo dovette essere un tentativo di dirottare la rivolta, o almeno così fu interpretato dai minuti, che, infatti, lo sventarono immediatamente. Il secondo, invece, si diresse verso le Stinche, il carcere della città, e liberarono un industriale della Lana, Jacopo Sacchetti.
Mentre accadeva ciò, il governo, avendo avuto voce delle agitazioni e della nuova ribellione del popolo fece suonare le campane per convocare le gilde in Piazza della Signoria, allora Piazza dei Priori. A questa chiamata rispose, data la riforma di fine luglio, anche un gruppo di Ciompi. Inizialmente calma questa rappresentanza, all’entrare del vessillo della Lana, assalì i suoi portatori costringendoli alla fuga. Nonostante quest’attacco l’ostilità non si estese.
Il 29 dovevano essere fatte le estrazioni per il nuovo governo. Nuovamente, dunque, tutte le gilde si riunirono, tuttavia, a differenza del giorno precedente tutto si svolse pacificamente, senza violenze da parte di alcun partito. La situazione sembrava essersi calmata, senonché la sera del 30 gli Otto inviarono due di loro ai Priori, domandando che l’esecutivo uscente e quello entrante giurassero di non passare alcuna legislazione senza prima consultarli, legandoli dunque alla volontà dei Ciompi. Si trattava, in poche parole, di un ultimatum.
Il governo si riservò alcune ore per decidere. Una simile richiesta, tuttavia, non poteva essere accettata, ed infatti, l’indomani, Michele di Lando fece imprigionare i missi venuti a riscuotere l’assenso. Il dado era ormai tratto.

Vista di Piazza della Signoria in un quadro di XVIII secolo, nonostante i cambiamenti che occorsero in quattro secoli da comunque l’idea della centralità di Palazzo Vecchio, che svetta sulla città (da Wikimedia Commons).
Michele, dunque, uscì dal palazzo a cavallo, gonfalone alla mano, nel tentativo di attrarre a sé la scorta dei due degli Otto, per portarli al di fuori della Piazza, in modo tale da permettere alle gilde “lealiste” di occuparla. Il piano riuscì e, suonate le campane le varie arti ed i loro vessilli vennero. I Ciompi, tuttavia, ben presto si unirono alle varie corporazioni.
Fu dunque chiesto a tutte loro di arrendere i propri gonfaloni all’autorità cittadina e di riunirsi sotto lo stendardo del Comune. Gli insorti rifiutarono, rendendosi conto che il cedere la loro insegna avrebbe significato spezzare la loro solidarietà interna e dunque porre fine al tumulto. I Priori, tuttavia, insistettero, riuscendo in tal modo a convincere una parte delle truppe cittadine popolari ad unirsi a loro. Gli altri si riunirono a quelli che erano, ormai, definitivamente dei ribelli. Esplose lo scontro, ma, ben presto i Ciompi furono soverchiati e si diedero alla fuga. Le truppe comunali cominciarono dunque ad imperversare per la città, dando sì la caccia ai capi della rivolta, ma dedicandosi anche ad una dura rappresaglia contro la popolazione.
Il 1° settembre il tumulto era ormai sconfitto. Lo stendardo dei Ciompi, simbolo anche della loro gilda, fu rimosso dal palazzo comunale e distrutto dalla folla e l’arte creata qualche settimana dapprima fu sciolta. I due degli Otto fatti prigionieri il 31 vennero messi a morte il 5 settembre.
Conclusione

Dipinto di XIX secolo che rappresenta Michele di Lando mentre sta per entrare nel palazzo dei Priori (da Wikimedia Commons).
Nonostante il fallimento ultimo diverse delle conquiste ottenute durante queste sommosse rimasero. Un esempio di questo sono le altre due gilde dei salariati, quella dei farsettai e quella dei tintori, che rimasero attive sino alla riforma istituzionale del 1382. Anche la Parte subì un netto ripensamento dopo la sua cacciata.
Inoltre, i fatti dell’estate del 1378 sono una perfetta rappresentazione delle tensioni che potevano nascere in relazione ad una povertà che stava andando a radicarsi sempre più profondamente nella società tardomedievale e della bellicosità che aveva caratterizzato l’ambiente cittadino sin dal XI secolo, rendendolo un episodio fondamentale per capire l’evoluzione cittadina e della società del Trecento.