Re Umberto Assassinato a Monza
La mattina del 30 luglio 1900, una striscia nera in segno di lutto vene impressa sulle prime pagine della maggior parte dei quotidiani Italiani. Il lutto era dovuto alla morte del re Umberto I, ucciso il giorno prima a Monza da Gaetano Bresci, un operaio e anarchico italiano che dal 1898 risiedeva negli Stati Uniti d’America.
Gaetano Bresci, l’anarchico che venne dall’America

Foto di Gaetano Bresci (da Wikimedia Commons)
Il regicida nacque a Prato il 10 novembre 1869. Ultimo di quattro figli, Bresci si specializzò nella lavorazione della seta e si avvicinò sin da molto giovale al movimento anarchico. La vicinanza al movimento lo portò ad essere schedato come “pericoloso anarchico” e deportato nell’isola di Lampedusa. Dopo la deportazione, il regicida rientrò a Prato e vista la difficoltà a trovare un impiego stabile decise di lasciare l’Italia.
Fu così che Bresci, nel gennaio 1898, arrivò in America dove trovò lavoro a Paterson, in New Jersey, considerata una città “covo di anarchici”. In America, lontani dalla politica repressiva del governo italiano, questi ultimi erano liberi di organizzare incontri e dibattiti senza il timore di essere ostacolati o puniti dalle forze dell’ordine. Tra tutte le città americane, Paterson divenne un luogo privilegiato per gli anarchici: tappa fondamentale per le figure più in vista del movimento e sede di numerosi gruppi editoriali impegnati nella stampa di testi e periodici impegnati a diffondere le idee del movimento.
L’Italia di fine Ottocento
Partendo per Paterson, Bresci si lasciò alle spalle un’Italia in crisi. L’aumento del prezzo del pane e le conseguenti agitazioni popolari avevano infatti portato il governo ad adottare misure repressive che colpirono in particolare anarchici e socialisti.
Le rivolte vennero sedate attraverso arresti e provvedimenti di stati d’assedio. Questa fu la risposta che diede il governo Crispi alle proteste organizzate dai Fasci dei lavoratori in Sicilia nel 1891-1893. In aggiunta a ciò nel 1894 vennero promulgate le cosiddette leggi antianarchiche che inasprirono le pene nei confronti di singoli o associazioni considerati potenzialmente sovversivi. L’apice di questa linea repressiva venne raggiunto a Milano dove, nel maggio del 1898, il generale Bava Beccarris sparò sulla folla in protesta uccidendo quasi ottanta persone.
Per Gaetano Bresci il re Umberto I era il simbolo di questa “società guasta” e la persona da colpire per mettere fine alla difficile situazione in cui si trovava l’Italia.
Il rientro in Italia
È con l’obiettivo di uccidere il re che Gaetano Bresci lasciò l’America e partì per l’Italia seguendo il tragitto che è riportato di seguito:
Il regicidio e il processo
Il futuro regicida arrivò a Monza il 27 luglio 1900. Qui il re era stato invitato a presenziare a un concorso ginnico organizzato dalla società Forti e liberi. Fu proprio alla fine di questo concorso, tenutosi il 29 luglio, che Bresci mise in atto il suo piano: mentre Umberto I si allontanava in carrozza circondato dalla folla, il regicida sparò e uccise il re.
Non è difficile immaginare lo scompiglio che si creò in seguito agli spari ma i carabinieri riuscirono a fermare il regicida. Gaetano Bresci venne quindi trasferito a Milano dove fu processato dalla Corte d’Assise.
A Milano venne nominato come difensore d’ufficio l’avvocato Luigi Martelli. Il regicida però chiese di essere difeso da Filippo Turati, figura di spicco del partito socialista. Quest’ultimo non accettò la richiesta ma consigliò a Bresci di rivolgersi a Francesco Saverio Merlino, avvocato che in passato aveva militato nel movimento anarchico.
Merlino accettò di assumere la difesa del regicida che venne così processato il 29 agosto 1900 a Milano. Nonostante il tentativo dell’avvocato di ottenere un rinvio, il procedimento non venne rimandato e in sole sedici ore il regicida venne dichiarato colpevole e condannato all’ergastolo.
Questioni irrisolte

Foto dei documenti del procedimento penale contro Gaetano Bresci, Corte di Assise di Prima Istanza di Milano (da Wikimedia Commons).
Intorno a questa vicenda restano però delle questioni ancora da risolvere. Una di queste è quella del complotto. Si sospettava infatti che Bresci non avesse agito da solo e che ci fossero dei complici ancora in libertà, in particolare un certo Luigi che venne nominato anche durante il processo.
A questa si aggiunge la questione riguardante la morte del regicida. Quest’ultimo infatti, secondo le fonti ufficiali, si sarebbe suicidato mentre si trovava in isolamento presso il carcere di S. Stefano, situato sull’omonima isola. Le modalità del suicidio sono però difficilmente compatibili con la situazione di stretta sorveglianza in cui si trovava il regicida e con i mezzi a sua disposizione.
Questi quesiti insieme alla scomparsa di importanti documenti riguardanti la vicenda, sono soltanto uno degli aspetti che sottolineano l’esigenza di tornare a studiare la storia di Gaetano Bresci. Figura che offre un punto di vista privilegiato sul contesto nel quale si inserisce e sulla realtà e i soggetti che coinvolge.