La famiglia Tiepolo e la guerra di Ferrara

Zecchino raffigurante Pietro Gradenigo (da Wikimedia Commons)
La congiura del 15 giugno 1310 portò a un cambiamento definitivo dell’assetto politico-istituzionale della Repubblica di Venezia. Baiamonte Tiepolo, il vero protagonista di questa vicenda, era il discendente di una potente famiglia patrizia: il padre Jacopo era celebrato dal popolo come successore del doge Giovanni Dandolo. Nel 1289 fu eletto invece il podestà di Capodistria Pietro Gradenigo, che ben presto iniziò la riforma della Serrata del Maggior Consiglio, il principale organismo istituzionale dello Stato veneziano, limitando l’accesso alla magistratura alla nobiltà più antica ed escludendo di conseguenza sia i cittadini non nobili ricchi che alcuni nobili. Nel 1308 scoppiò la guerra di Ferrara, che portò alla scomunica da parte del papa al Gradenigo, la quale fu successivamente estesa come interdetto all’intera città. Di conseguenza i possedimenti dei patrizi in Terraferma, tra i quali quelli della famiglia Tiepolo, furono ampiamente minacciati. A questi eventi si aggiungeva il legame di parentela di Baiamonte con il Querini, suo suocero, e una multa per appropriazione indebita ricevuta dalla Serenissima mentre lui combatteva presso le roccaforti greche di Modone e di Corone. L’insofferenza fu infine portata agli estremi quando nel settembre 1309 il conte Doimo di Veglia venne eletto Consigliere Ducale. I Tiepolo si opposero accusando il governo di procedura irregolare e ciò portò a uno scontro armato nel quale Jacopo Tiepolo venne ferito. Tuttavia i Querini e i Tiepolo non furono gli unici insofferenti in quel momento storico: al loro scontento si univano la famiglia Badoer, il popolo e i patrizi scontenti per la Serrata e desiderosi di vedere il doge Gradenigo rovesciato.
La congiura del 1310

Disegno della scultura della Vecchia del Mortaio ad opera di Lorandini (da Wikimedia Commons)
La congiura fu ordita da Marco Querini, che aveva convocato a Venezia il genero Baiamonte, e fu elaborata anche grazie all’aiuto dei padovani reclutati da Badoero Badoer. Fu scelta la notte tra il 14 e il 15 giugno 1310, ossia tra sabato e domenica: l’obiettivo era uccidere il doge per poi insediarsi al suo posto. I congiurati, inizialmente radunati presso la Domus Major, la Casa Grande del Querini sul Canal Grande, decisero di marciare verso Palazzo Ducale per poi dividersi una volta raggiunta la Chiesa di San Salvador. Fu in questi istanti che Pietro Gradenigo fu avvertito da Marco Donà, amico di Baiamonte. E così il gruppo del Querini, giunto presso il ponte dei Dai, fu sorpreso dalle guardie di Palazzo, dai Giustinian e dai Dandolo e scoppiò uno scontro nel quale Marco Querini e il figlio Benedetto furono uccisi. Il resto del loro gruppo cercò quindi di ricongiungersi con quello di Baiamonte per sferrare un ultimo attacco, nella speranza che le truppe del Badoer fossero sbarcate. Tuttavia queste erano arenate a causa dell’improvviso temporale ed erano state poi distrutte da Ugolino Giustinian, podestà di Chioggia, mandato dal doge. Baiamonte decise di sferrare un ultimo attacco all’alba ma quando raggiunse l’arco del Sotoportego del Cappello a cavallo, il suo portabandiera venne ucciso improvvisamente da un mortaio caduto dal davanzale di proprietà di Lucia o Giustina Rosso o Rossi, che aveva aperto la finestra per assistere alla lotta. Senza il punto di riferimento delle insegne aumentò lo smarrimento degli uomini di Baiamonte, spinti sempre più verso Rialto, dove si sarebbero barricati. Il Gradenigo decise allora di lasciare andare gli insorti non per pietà quanto più per prudenza, preferendo lasciare i suoi uomini a presidiare piazza San Marco. Solo dopo si raggiunse infine un accordo: i rivoltosi sarebbero stati risparmiati se avessero scelto di partire per l’esilio, mentre i capi furono condannati a morte. Altri congiurati furono invece graziati solo dopo aver fatto atto di sottomissione al doge.
La reazione alla congiura

Dipinto di Antonio Ghisu (1905) raffigurante i consiglieri del Consiglio dei Dieci (da Wikimedia Commons)
Il Gradenigo si era dimostrato moderato nella sua risposta agli eventi della notte di San Vito e ciò fu assolutamente determinato da scelte diplomatiche: Venezia non poteva inimicarsi ulteriormente i potenti nobili di Terraferma e i patrizi veneziani che condividevano le stesse idee dei congiurati. Fu così che venne creato, il 10 luglio dello stesso anno, il Consiglio dei Dieci, magistratura il cui scopo era quello di perseguire i traditori e fautori del complotto in modo da intervenire prima dell’attuazione dei loro piani. La creazione del Consiglio dei Dieci fu inizialmente determinata da esigenze temporanee, tuttavia fu ritenuta necessaria anche in futuro e si tramutò in una magistratura stabile.
Baiamonte dopo la congiura
Dopo la notte del 15 giugno 1310, Baiamonte Tiepolo continuò a spostarsi fra alcune città della Terraferma veneta e si trasferì poi in Slavonia, città croata. Ciò destò delle preoccupazioni nella Serenissima, che cominciò a pedinare ogni suo movimento. Durante i suoi spostamenti Tiepolo cercò infatti di riorganizzare un altro complotto contro Venezia, spingendo le città della Costa da Mar contro la Repubblica. Anche in Italia Baiamonte Tiepolo continuò essere popolare. Nel 1325 Bologna lo elesse infatti capitano di guerra. Oggi tuttavia si è incerti circa gli spostamenti degli ultimi anni di Baiamonte, che scomparì dalla storia.
Baiamonte e il giudizio della storia
Dal Cinquecento alla Caduta della Repubblica

Andrea Dandolo raffigurato nella Sala del Maggior Consiglio a Palazzo Ducale (da Wikimedia Commons)
I giudizi riguardanti Baiamonte Tiepolo subirono numerose mutazioni, influenzate dai vari momenti storici e politici a partire dal XIV secolo. Tra il 1345 e il 1352 Andrea Dandolo (1306-1354) descrisse Tiepolo nella sua Chronica per extensum descripta come “malvagio traditore”, riprendendo il giudizio da parte del Consiglio dei Dieci. Anche nel secolo successivo continuò dunque la damnatio memoriae, fissando questa valutazione negativa del congiurato in maniera quasi dogmatica. Soltanto tra il XVI e il XVII secolo le considerazioni sulla congiura del 1310 cominciarono a essere più variegate: Jean Bodin (1530-1596), filosofo francese, contestò la visione della Repubblica come Stato misto dietro il quale si celava soltanto un’altra oligarchia. Nello Squitinio della libertà veneta nel quale si adducono anche le raggioni dell’Impero Romano sopra la città e signoria di Venetia, opera anonima del 1612, viene accusato il Gradenigo, reo di aver sostituito il primo ordinamento di Venezia con la Serrata del Maggior Consiglio. Saranno queste le fonti principali che trasformeranno infine Baiamonte Tiepolo in un eroe giacobino ante litteram, tendenza che si intensificò soprattutto a partire dalla caduta della Repubblica nel 1797. Tiepolo venne dunque visto come salvatore del popolo veneto e sostenitore della democrazia.
La congiura del 1310 dal Novecento a oggi

Fotografia di Roberto Cessi, storico e politico italiano (da Wikimedia Commons)
Fu soltanto a partire dal Novecento, grazie al contributo dello storico Roberto Cessi (1885-1969), che si cercò di dare carattere storico allo studio della vicenda senza ricorrere a soggettivismi e a influenze politiche. Gli storici del XX secolo furono infatti concordi nel negare alla congiura il carattere di contrapposizione fra la nobiltà e il popolo e nel considerarla come un tipico scontro interno tra fazioni nobiliari, determinato dunque sia da elementi personali che da motivi politici. Si può dunque comprendere come la figura di Baiamonte si sia ben presto trasformata in un simbolo: da traditore a emblema della lotta per la democrazia contro un governo ristretto e potente. Non solo dunque la congiura del 1310 fu importante dal punto di vista politico per la storia della Serenissima, ma considerando le numerose riflessioni e rielaborazioni da parte degli studiosi dal Medioevo a oggi possiamo infine concludere che è significativa soprattutto dal punto di vista storiografico. Questa vicenda accompagnò infatti l’evoluzione e determinazione della disciplina storica fino alla sua definizione nella materia di studio che conosciamo al giorno d’oggi.