Archivi e fonti sonore per gli storici
Archivi e fonti sonore costituiscono una preziosa risorsa per gli studiosi, che possono indagare tematiche dell’antropologia, della storia, della linguistica e della tecnologia da una prospettiva inedita. Il rapporto fra storici, archivi e fonti sonore necessita però di una riflessione di carattere metodologico.
Le fonti sonore sono senza dubbio affascinanti. Sembrano dare voce a personaggi rimasti a lungo nel silenzio della storiografia ufficiale. Ascoltando quei suoni graffiati crediamo di godere del privilegio dell’autenticità che le fonti scritte sembrano negarci. Ma ne siamo davvero sicuri?
Danzatori silenziosi
In questo filmato del 1894 si vedono alcuni nativi americani mentre eseguono la Ghost Dance, danza tipica di un movimento millenaristico diffusosi alla fine dell’800 nella parte occidentale degli Stati Uniti d’America. Le diapositive ci restituiscono i gesti e le movenze di questo gruppo di nativi, ma è privo di suono.
L’etnografo americano James Mooney (1861-1921) si occupò per anni della cultura e della storia delle tribù native americane della parte meridionale degli Stati Uniti. Nel 1896 pubblicò una monografia interamente dedicata alla Ghost Dance, The Ghost-Dance Religion and the Sioux Outbreak of 1890: una testimonianza preziosa, frutto dell’osservazione di una crisi culturale in atto. Nel 1894 Mooney produsse anche una serie di registrazioni di canti della Ghost Dance.
Grazie a Mooney, quindi, possiamo finalmente ridare il suono a queste immagini mute. Ci sembra quasi di trovarci di fronte alla reale testimonianza di un popolo che combatteva con la danza e il canto la propria agonia culturale. O forse no?
Un amaro retroscena

Emile Berliner in posa con uno dei grammofoni da lui brevettati, 1910-1929 circa. Da Wikimedia Commons.
La verità è che fu Mooney stesso a eseguire i canti. Infatti, è poco probabile che egli abbia utilizzato l’ingombrante grammofono per registrare in situ. Egli imparò la corretta esecuzione delle melodie con l’aiuto dei nativi e poi le riprodusse in uno studio di registrazione di Washington.
A dire il vero, nemmeno il filmato può essere considerato una testimonianza senza filtri della Ghost Dance. Esso fu girato nello studio cinematografico “Black Maria” a West Orange, New Jersey. Lo storico Charles Musser ha precisato che i ballerini coinvolti erano davvero nativi americani, ma facevano parte del Wild West Show di Buffalo Bill (cioè uno dei tanti spettacoli itineranti a tema western diffusi negli Stati Uniti e in Europa alla fine dell’800).
Un amaro retroscena, dunque: una danza ricreata in studio cui si sovrappone la voce di un etnografo bianco. Questa piccola delusione, però, ci insegna che il rapporto fra storici, archivi e fonti sonore è complesso e sfaccettato: come ogni altro tipo di traccia del passato, anche le fonti sonore devono essere correttamente contestualizzate per evitare letture semplicistiche e ingenue.