
Il bestiario mosaicato dell’abbazia di Ganagobie, testimonianza della maestria artistica del XII secolo (da Wikimedia Commons)
L’XI secolo è un momento di svolta fondamentale per l’Europa Occidentale, segnando una netta ripresa rispetto al periodo Altomedievale. Nascono i comuni, si ristabiliscono le rotte commerciali nel Mediterraneo e non solo, la Chiesa si sottopone ad un lungo periodo di riforma che porterà al rafforzamento del papato e alla nascita di grandi ordini monastici come certosini e cistercensi.
In pochi luoghi questo rilancio è palese come nel Sud della Francia, l’Occitania, che a partire dal Mille si distingue non solo per la sua vivacità politica, ma anche e soprattutto per il dinamismo del suo panorama intellettuale, capace di produrre una delle esperienze letterarie più significative del Medioevo, la poesia cortese.
La Corte e i Trovatori

Trovatori cantano ad un re in un manoscritto tedesco di XIV secolo (da Wikimedia Commons)
Come suggerisce il nome si tratta di un genere poetico strettamente legato all’ambiente delle corti feudali. Questo perché i primi trovatori, così erano chiamati i compositori di queste canzoni, appartenevano spesso a quel panorama con alcuni, come Guglielmo IX, addirittura signori di castelli o regioni. Volendo, dunque, forse per diletto, forse per dare sfogo alle loro grandi capacità retoriche, un medium che fosse totalmente laico decisero di dare vita a questo nuovo genere. Ma non solo. I temi che sono trattati, il linguaggio ed i valori stessi che vengono trasmessi, infatti, appartengono a quel mondo. I protagonisti sono le dame, i cavalieri ed i signori e la fedeltà è spesso una virtù imprescindibile e diffuso.
Fin’amor
Nonostante queste origini, la poesia trobadorica parla non di guerra o combattimento, ma bensì d’amore. È, infatti, la tensione passionale tra l’autore e domna, cioè la donna prediletta, ed i sentimenti che essa genera al primo, ad essere il protagonista dei componimenti occitani. Si tratta, dunque, di una poetica estremamente narcisista ed autoriferita, poiché seppur è la dama a generare i sentimenti che verranno poi riversati all’interno della pagina, essa non viene quasi mai menzionata, rimane un oggetto distante e passivo. Spesso non è nemmeno nominata direttamente, ma solo tramite il senhal, un nomignolo usato per celare l’identità propria o dell’amata. Lo spazio è, pertanto, interamente dedicato alla gioia o, più spesso, all’afflizione che il poeta prova, in un rapporto che pur fornendo momenti di lieta spensieratezza, tende a rimanere insoddisfatto e difficilmente giunge mai a compimento.
Una Metafora Feudale

Re Aroldo nomina un comandate in una rappresentazione dell’Arazzo di Bayeux (da Wikimedia Commons)
In realtà, secondo alcuni studiosi, l’obiettivo di questi componimenti non sarebbe nemmeno legato ad esaltare l’amore e la donna, ma sarebbe bensì uno strumento di ascensione sociale. Per alcuni la supplica amorosa e di attenzioni sarebbe effettivamente diretta ad una donna, alle mogli dei feudatari che non potevano unicamente intercedere al signore affinché fossero concesse al “trovatore” terre, denaro e potere, ma concederle loro stesse, dato che, a quell’epoca, avevano una discreta libertà. Avevano, difatti, un ampio controllo sui loro patrimoni, potendoli anche alienare da sé, e, soprattutto ricoprivano le funzioni del coniuge, specialmente se castellano mentre lui era in guerra o altrimenti assente. Entrare nelle grazie della dama, non fisicamente dato che spesso i rapporti erano fittizi, ma retoricamente poteva dunque essere una via per il successo in un mondo di forte competizione. Secondo altri, invece, la domna sarebbe addirittura stata un dominus e la canzone trobadorica sarebbe nato come genere di supplica e intercessione con il signore feudale, sempre nel tentativo di vincere la sua ammirazione e guadagnare prestigio e terre.
I limiti della sensualità
Nonostante sia fittizio non si tratta di un amore limitato alla mera dimensione spirituale, anzi spesso si tinge di caratteri fortemente sensuali. Non si tratta, tuttavia, di una caratteristica condivisa da tutti i trovatori. Alcuni, come Marcabru, per esempio, vedono il possesso materiale della donna come promotore di disvalori quali l’adulterio e dunque come veicolo di degrado sociale. Per contrastare questa deriva adottano, allora, una posizione fortemente moralistica ed un rifiuto più o meno netto di simili pratiche. Altri, come Giraut de Bornelh, vi rinunciano non tanto per questioni etiche, ma bensì perché l’amore come un qualcosa di intrinsecamente inappagabile, destinato a rimanere sempre in potenza. La realizzazione del sogno passionale, infatti, avrebbe significato la fine della tensione che dava vita e sostanza alla poesia, e ne avrebbe pertanto significato la morte.
Elevazione o rinuncia? Una tenzone
Non tutti sono d’accordo con la questione dell’irraggiungibilità e mantengono un atteggiamento decisamente più ottimista. È il caso di Raimbaut d’Aurenga, che con il suo Non chant per auzel ni per flor dà il via, nella seconda metà del XII secolo, ad una disputa letteraria con altri importanti poeti dell’epoca. In quella canzone, infatti, rifacendosi al mito di Tristano e Isotta descrive un amore gioioso, inarrestabile, quasi soprannaturale, ma non solo. Ciò che viene qui descritto è anche la piena realizzazione del rapporto tra trobadour e dama, che, pur sfociando nell’adulterio è giustificato dall’estrema attrazione che i due provano l’un l’altro.

Bernart de Ventadorn in una miniatura di XIII secolo (da Wikimedia Commons)
A questo, forse perché chiamato direttamente in causa dal senhal Carestia, rispose Bernart de Ventadorn, con la sua Can vei la lauzeta mover. Ivi descrive non una situazione lieta e piacevole, ma bensì un rapporto non solo irraggiungibile ma completamente fallimentare, angoscioso, talmente totalizzante da annientare l’identità stessa del poeta. Si tratta di una relazione talmente unilaterale e struggente che l’unica cosa che resta da fare al poeta è rinunciarvi, abbandonandosi, di fatto, alla morte.
A concludere questo dibattito fu un outsider, il letterato della Champagne Chretien de Troyes. Nel suo componimento in langue d’oc, titolato D’amors qui m’a tolu, richiama all’ordine i due, sottolineando quali fossero le norme della poesia provenzale. Difatti, attenua di molto il tema dell’impossibilità e della distanza presente in Bernart, dall’altro pur mantenendolo si sottomette comunque alla domna, promettendo di esserle fedele e di non rinunciare a lei e a desiderarla. Recupera dunque una visione un po’ più radiosa, ma a differenza di Raimbaut non sfocia né nell’adulterio, almeno non esplicitamente, né è generato da una forza magica, trattandosi bensì di una scelta cosciente, e, come detto, reintroduce il tema della lontananza.
La maturazione del Genere
Già dunque ai tempi di Raibaut, Bernart e Chretien si era definito un canone più o meno identificabile, tuttavia bisognerà aspettare la fine del XII e gli inizi del XIII per vedere la completa maturazione del fin’amor, grazie soprattutto all’azione di personaggi quali Arnauld Daniel. Riconosciuto da Dante come il pinnacolo del genere trobadorico, è infatti con la sua poesia che si stabilizza, accantonando la ricerca di un’innovazione tematica per concentrarsi unicamente nel perfezionare il linguaggio e le rime delle proprie liriche. Non si affrontano più, difatti, le annose tematiche sociali di Marcabru, ne tantomeno la sconfortante disillusione di autori come de Ventadorn. Ciò che viene ora cantato è un amore gioioso e corrisposto, in cui la dama è disposta ad essere leale al poeta ed è talmente perfetta che amarla viene quasi naturale. È, inoltre una poetica che non rifugge dai tratti più sensuali.
La fine del Sogno

Catari cacciati da Carcassonne (da Wikimedia Commons)
Se Daniel si concretizzò come il pinnacolo, fu solo questione di poche manciate di anni perché se ne materializzasse il tracollo. La ragione di ciò è da ricondurre al decennio di campagne militari che devastò il Midi Francese, rendendo una delle regioni più attive e vivaci dell’epoca sostanzialmente inerme. Tutto cominciò quando papa Innocenzo III istituì, nel 1209 la crociata contro i catari. Questa setta religiosa, diffusa particolarmente nel sud della Francia, ma non solo, si distingueva per i caratteri fortemente manichei ed un rigido moralismo, che si concretizzava in una dieta vegetariana, lunghi digiuni ed una stringente astinenza sessuale. Amministrata, tra l’altro, da una propria gerarchia ecclesiastica, venne quasi immediatamente identificata come una dottrina eretica, ed i tentativi di eradicarla si estesero su decenni, per culminare con questa crociata. Il contraccolpo che essa generò sulle istituzioni della regione è dovuto certamente allo spargimento di sangue ed alla morte di molti dei grandi signori feudali, ma anche dall’interesse che il re di Francia vi aveva maturato. Intenzionato, infatti, in un periodo di primo consolidamento degli stati nazione, ad espandere i propri domini anche all’Occitania, decise di partecipare proprio per questo alla campagna, ottenendo, come ricompensa diversi territori, come il Delfinato, inserendosi e mettendo a soqquadro gli equilibri dell’area.
Manoscritto e musica

Un componimento di Bertran de Born in un manoscritto francese di XIII secolo (da Wikimedia Commons)
Nonostante le conseguenze della guerra furono pesanti e posero sostanzialmente fine al fin’amor, è a partire da quell’epoca che quest’ultimo travalica definitivamente i confini della Provenza e diventa un genere europeo. Questo accadde grazie ai giullari esuli che portarono nei loro viaggi tali componimenti ma, soprattutto, anche grazie ai manoscritti.
Se, da un lato, essi rappresentarono un fondamentale strumento di salvaguardia della memoria di una delle esperienze letterarie più importanti del Medioevo, dall’altro incarna anche il definitivo tradimento. Questo perché, è importante ricordare, quella dei trovatori è una lirica musicata, una canzone, che era sempre accompagnata dalla lira o altri strumenti simili. La trascrizione su pergamena, tuttavia, anche perché in molti casi piuttosto tardiva (XIV sec.) perde questa caratterizzazione. Ed anche nei pochi casi in cui è mantenuto l’arrangiamento sonoro spesso riguarda solo una minima parte della produzione. Inoltre, spesso i filologi tendono ad essere scettici di queste melodie, dato l’enorme gap che separa la composizione del trovatore e l’annotazione su questi volumi, che spesso mancano anche di una chiara indicazione del ritmo, rendendo, secondo alcuni, impossibile ricostruire esattamente il loro andamento.
Una canzone anche femminile: le Trovatrici
Questi manoscritti rimangono, tuttavia, un’ottima fonte per conoscere la produzione dei troubaodurs, ma non solo. In mezzo alla marea di poesie da loro realizzati, in un numero certamente non immenso ma comunque significativo, troviamo diversi componimenti appartenenti alle trobairitz. Si tratta, sostanzialmente di trovatori donna, che decisero, nella prima attestazione di una pratica simile, di dedicarsi anch’esse alla poesia cortese. Ciò che ne viene fuori è una dei più interessanti punti di vista sul genere, capace allo stesso tempo di rimanervi fedele ed innovare, dovendo affrontare alcune importanti sfide.

Miniatura della Contessa di Dia, in un manoscritto del XIII secolo (da Wikimedia Commons)
La principale è sicuramente quella che riguardava la passività che era riservata alla donna nel fin’amor cortese, che, tuttavia ne limitava molto l’azione dato che diventava ora la vera protagonista del componimento. Non poteva più trattarsi unicamente della dama lontana ed irraggiungibile, ma doveva ora acquistare un proprio peso e, soprattutto, senso d’azione. Ma allo stesso tempo doveva rimanere nei canoni del genere. Ciò avvenne in maniera estremamente callida. Essa, infatti, a differenza della controparte maschile non vuole amare. Ciò le permette di mantenere la sua superiorità, dato che non dà ma bensì riceve, e, allo stesso tempo, di diventare entità attiva all’interno del mondo poetico. Tra l’altro, la vicinanza con i componimenti maschili si vede anche nell’adozione di linguaggi e metafore dai forti connotati sensuali, che non vengono accantonati ma usati e talvolta esaltati, come nel caso della contessa di Dia, sebbene non sia un topos presente in tutte.
Conclusione
Nonostante la brevità, quest’esperienza è una delle più cruciali della letteratura europea, non solo in quanto illustra un nuovo metodo di intendere e costruire dei testi scritti, cosa che sarà adottata in tutta il continente, ma perché vede, per la prima volta dopo secoli, le donne parteciparvi, creando un modello. Ancora oggi, tuttavia rimane confinato nei limiti della mera parola scritta, anche a causa di una rigida divisione interna al mondo accademico. Sarebbe dunque opportuno, per recuperare la pienezza di questo fenomeno che si affiancasse, dove possibile, la musica alla parola scritta.