Il Mare d’Aral
Il mare d’Aral è un lago naturale situato in una zona desertica tra il Kazakistan e l’Uzbekistan in Asia Centrale. Fino agli anni Sessanta del Novecento era il quarto lago più grande al mondo, ma oggi le sue dimensioni si sono ridotte del 90%. Per questo motivo l’Aral è diventato un simbolo dell’impatto dell’uomo sulla natura.
Un ambiente in continua trasformazione

Il Mar d’Aral fotografato dallo spazio nel 1964 (da Wikimedia Commons)
L’Aral è geologicamente giovane: si è formato meno di 20 mila anni fa. Nel corso della sua breve storia il lago è più volte scomparso e ricomparso. I geologi e gli archeologi hanno ricostruito le sue trasformazioni attraverso l’analisi dei reperti ritrovati sui fondali. Ad esempio, hanno ritrovato i resti di un mausoleo islamico risalente tra la fine del XII e gli inizi del XV secolo in un luogo un tempo sommerso. Questo ritrovamento conferma le affermazioni dei cronisti e dei geografi medievali che avevano narrato la scompara dell’antico lago.
Storicamente, i periodi di siccità erano dovuti a deviazioni naturali del fiume Amu Darya. Invece di sfociare nell’Aral, l’Amu si spingeva più ad Ovest fino al Mar Caspio attraverso il Canale di Uzboi. I motivi non sono ancora del tutto chiari, ma è probabile che la causa sia stata la formazione di ostruzioni dovute all’accumulo di detriti.
Invece, le ragioni dell’attuale prosciugamento non sono naturali, ma la conseguenza di un progetto di sfruttamento agricolo iniziato con la conquista russa dell’Asia Centrale. Non furono però i russi a introdurre l’agricoltura irrigua nelle bacino dell’Aral: al loro arrivo essa era già praticata da più di due millenni. Nel corso dell’articolo vedremo come le popolazioni dell’Asia Centrale si erano adattate a un ecosistema arido e mutevole e come esso fu distrutto dalla mentalità colonialista.
Le popolazioni dell’Asia Centrale
A causa del clima arido (il lago confina ad est con il deserto del Kizil-Kum e a sud-ovest con quello del Kara-Kum) le popolazioni della zona avevano messo a punto diverse strategie di adattamento all’ambiente. Gli uzbeki del Khanato di Khiva e dell’Emirato di Bukhara, situati a sud e sud-est del lago, praticavano principalmente l’agricoltura. I kazaki che vivevano sulle rive settentrionali del lago erano perlopiù pastori nomadi. Infine, i caracalpachi che abitavano a sud del lago e i turkmeni che vivevano a sud-ovest e nel deserto del Kara-Kum praticavano il semi-nomadismo che integrava aspetti dell’agricoltura e della pastorizia nomade.

Il Khanato di Khiva alla sua massima espansione, prima della conquista russa (da Wikimedia Commons)
Per combattere la siccità, sin dal VII secolo a.C. i contadini locali iniziarono a scavare canali per portare acqua ai campi coltivati. I campi che avevano bisogno di irrigazione venivano chiamati obi ed erano coltivati principalmente in estate per sfruttare la maggior quantità d’acqua nei fiumi dovuta allo scioglimento dei ghiacciai. La gestione dei canali, delle dighe e dei fondi era affidata a dei funzionari eletti nei villaggi. Questi funzionari, chiamati mirab ( “governatori delle acque”) e mirab bashi (capo-mirab), si assicuravano che ogni campo avesse abbastanza acqua stabilendo i turni per il suo utilizzo. Gli storici hanno stimato che con questo sistema veniva prelevato solo il 5% delle acque dei due affluenti dell’Aral, il fiume Syr Darya e il fiume Amu Darya.
L’arrivo dei russi

Suddivisione amministrativa del Turkenstan dopo la conquista russa (da Wikimedia Commons)
Il lago d’Aral fu esplorato nel 1848 dall’ammiraglio russo Aleksej Ivanovič Butakov, che era alla ricerca delle foci dell’Amu. Nel periodo di massima espansione degli imperi coloniali europei, il governo russo aveva scelto di espandersi a sud-est per controllare i traffici commerciali verso Oriente. L’Asia centrale venne conquistata e annessa nel 1867 con il nome di Turkenstan. Poco dopo l’Emirato di Bukhara e il Khanato di Khiva divennero protettorati russi. Per favorire le esportazioni dei propri industriali e contrastare la concorrenza britannica, il Governo dello Zar progettava di realizzare un canale navigabile che unisse il Mar Caspio al lago d’Aral. Il canale però non venne mai realizzato perché diventò inutile quando la ferrovia raggiunse il porto di Aralsk.
Il cotone

Sergei Witte fu ministro delle finanze dell’Impero zarista dal 1892 al 1903 (da Wikimedia Commons)
La guerra di Crimea (1853-56) e la guerra civile americana (1860-65) avevano impedito all’impero russo di acquistare cotone dagli Stati Uniti. Per tale ragione il Governo zarista cercò di favorirne la coltivazione nei propri territori così da rendersi autosufficiente. In particolare, scelse di produrre il cotone in Asia Centrale perché le popolazioni locali già ne piantavano in piccole quantità. Il clima caldo era particolarmente adatto a tale coltura, ma l’inesperienza russa nell’irrigazione portò a risultati inizialmente deludenti.
Però, grazie a una politica di incentivi e sgravi fiscali, il ministro delle finanze russo Sergei Witte convinse con un certo successo i coltivatori delle valli del Syr Darya e dell’Amu Darya a coltivare cotone messicano (Gossypium hirsutum). Così, nei primi anni del XX secolo la produzione crebbe rapidamente fino a raggiungere le 246.000 tonnellate annue nel 1913. Tale successo fu, però, pagato con i primi sintomi di uno sovra-sfruttamento del suolo. Inoltre, l’economia locale divenne sempre più dipendente dalla coltivazione del cotone che in molti casi sostituì quella dei cereali.
L’Unione Sovietica
Nonostante sostenessero di voler porre fine al processo di sfruttamento coloniale, i bolscevichi imposero nuovamente agli uzbeki la monocoltura del cotone. Stalin infatti intendeva raggiungere l’indipendenza dalle importazioni straniere e allo stesso tempo trasformare l’Unione Sovietica in un paese esportatore di materie prime e di prodotti tessili lavorati allo scopo di incamerare valuta pesante. Di conseguenza, con il Primo piano quinquennale (1928-32), gli obiettivi di produzione vennero innalzati da 590.400 a 787.200 tonnellate di cotone da raggiungere entro il 1932. Le conseguenze di tale scelta furono una carestia che colpì duramente la regione. Inoltre, lo scavo di nuovi canali per sostenere l’aumento di produzione fu condotto con mezzi di fortuna e gli alvei non furono impermeabilizzati, portando a sprechi d’acqua che raggiunsero picchi del 70%.
Il dopoguerra

Il canale del Kara-Kum attraversa l’omonimo deserto (da Wikimedia Commons)
Nikita Chruščëv, salito al Governo dell’Unione Sovietica a seguito della morte di Stalin nel 1953, a sua volta ordinò di aumentare la produzione di cotone. Per tale ragione, le acque del Syr Darya furono dirottate verso la Steppa della Fame, dove il cotone si coltivava già dall’epoca zarista, mente le acque dell’Amu Darya vennero impiegate per irrigare il deserto del Kara-Kum in Turkmenistan.
La costruzione del canale del Kara-Kum iniziò nel 1954 e venne aperto in più fasi tra il 1962 e il 1988. Il canale, utilizzando la parte orientale dell’alveo dell’Uzboi, devia le acque dell’Amu Darya attraverso il deserto del Kara-Kum proseguendo da Est verso Sud-Ovest fino ad avvicinarsi alle sponde del Caspio, senza però raggiungerle. Con un’estensione di 1.375 km, è il secondo canale artificiale più lungo al mondo.
Un lago prosciugato dal cotone
Tra il 1960 e il 1990 la produzione del cotone in Uzbekistan aumentò del 70%, mentre in Turkmenistan addirittura del 346,72%. Tali risultati furono però pagati a caro prezzo. Lo sfruttamento di acqua per l’irrigazione salì a tal punto che, tra il 1977 e il 1989, il fiume Syr Darya versava nell’Aral solo un ventesimo delle acque di vent’anni prima. La deviazione dell’Amu Darya verso il Kara-Kum, invece, azzerò completamente il suo apporto di acqua al lago. La forte evaporazione delle acque del lago, pari a circa 62-66 km³ all’anno, non fu più contrastata dalle acque dei fiumi e la sua superficie tra il 1960 e il 2006 si ridusse del 90%. Nel 1987 il lago si divise in due bacini, il Piccolo Aral e il Grande Aral. Il primo si trova a Nord ed è il meno esteso dei due, mentre il secondo è più esteso ma meno profondo.
Le autorità sovietiche erano a conoscenza dei danni che la coltivazione del cotone arrecava al lago, ma non fecero nulla per limitare gli sprechi d’acqua. Scelsero invece di mantenere la monocoltura intensiva e di combattere l’esaurimento del suolo con massicce dosi di fertilizzanti chimici. Infine, le autorità ipotizzarono di mantenere in vita il lago deviando verso sud i fiumi siberiani (progetto “Sibaral”), ma tale progetto, peraltro poco realistico, non venne mai realizzato.

La diga di Kokaral blocca il fluire delle acque del Piccolo Aral verso Sud (da Wikimedia Commons)
Il periodo post-sovietico
Ottenuta l’indipendenza dall’Unione sovietica, le repubbliche dell’Uzbekistan e del Turkmenistan rimasero fortemente dipendenti dalla coltivazione del cotone. Esso è infatti una delle principali merci d’esportazione dell’Asia Centrale. Tutt’oggi l’alveo del canale del Kara-Kum non è impermeabilizzato e ciò dà luogo ad elevati sprechi. L’acqua si accumula ai bordi dei campi formando una serie di paludi e piccoli stagni nel deserto, soprannominati “Venezia del Kara-Kum”. Solo la parte occidentale del Grande Aral tuttora sopravvive, mentre la parte orientale è diventata un deserto salato conosciuto come “Aral-Kum” (sabbia dell’Aral).
Per salvaguardare l’esistenza del Piccolo Aral, invece, le autorità kazake hanno autorizzato la costruzione di una diga nel canale che lo collega al bacino meridionale. Grazie alla diga di Kokaral, il Piccolo Aral riceve acqua sufficiente dal Syr Darya e ciò ha permesso la lenta ripresa della fauna ittica e della pesca.
Conclusioni
Tanto l’Impero Russo quanto l’Unione sovietica imposero il proprio modello economico alle popolazioni dell’Asia centrale nella convinzione di portare con esso la civiltà a popolazioni arretrate. Nonostante le motivazioni idealizzate, però, tale modello servì solo a giustificare lo sfruttamento di un’area marginale di un più vasto Impero. L’eredità dello sfruttamento imperiale russo e poi sovietico in Asia Centrale sono la perdurante dipendenza dell’economia locale dalla coltivazione del cotone e la scomparsa del quarto ecosistema lacustre mondiale.