In copertina: progetto grafico de “Il pupazzo ginnasta”.
Questa è la storia di mio nonno Roberto Serri, classe 1909, nato a Firenze, ammalatosi alla gamba destra di una malattia che, a diciotto anni, ne rese necessaria l’amputazione. Una giovinezza con lunghi soggiorni in ospedale tra Firenze e Viareggio, che fermarono i suoi studi alla quinta elementare. Roberto ha svolto, nonostante le difficoltà , numerose attività : imparò a suonare il violino e la chitarra da autodidatta per poter trovare lavoro nelle piccole orchestre che accompagnavano la proiezione dei film, allora muti. Non riuscì a trovare lavoro in questo ambito poiché, nel frattempo, i film erano passati al sonoro. Durante la guerra accettò un lavoro come disegnatore tecnico in Germania che però dovette lasciare per tornare a Firenze nel 1943, a causa di quanto accadde l’otto settembre.
Fu un viaggio di ritorno in cui rischiò di perdere la vita: all’ennesima delle fermate obbligate dall’arrivo di aerei che bombardavano le stazioni, nonno Roberto non voleva più scendere, voleva attendere sul treno la fine del bombardamento, data la sua difficoltà a deambulare; fu solo grazie all’insistenza di una signora, passeggera di quel convoglio che decise finalmente di scendere da quel vagone che poco dopo venne distrutto dal bombardamento. Nell’immediato dopoguerra, quando la necessità di lavorare era più impellente poiché doveva mantenere mia nonna Dina e i suoi due figli, Simonetta e mio padre Giulio, Roberto elaborò un progetto, che chiamò il “pupazzo ginnasta”.
Mia zia Simonetta, durante una telefonata in cui le chiesi notizie di questo progetto mi raccontò: «Era Duilio 48, veniva chiamato semplicemente così: “si va al 48”, si diceva. Aveva un po’ di tutto… balocchi, queste cose qui. E lo fece in serie (il pupazzo ginnasta, ndr), ne faceva tanti, tutti manualmente tutti da solo, senza presse, tutt’a mano e poi lo dipingeva, lo montava e lo portava al 48. E con quello, per un certo periodo ci abbiamo vissuto, con quel guadagno lì».

Roberto Serri da giovane (terz’ultimo da sinistra), ospite presso l’Ospizio marino di Viareggio (foto di Simonetta Serri)
Anche a me nonno Roberto raccontò di questo progetto e di come lo avesse aiutato amantenere la sua famiglia dopo la fine della guerra. Quando andò in pensione ne costruì altri esemplari per noi nipoti e anche per i bisnipoti che riuscì a conoscere prima di lasciare questa vita nel 1996, sempre costruiti a mano pezzo su pezzo. Intelligenza, abilità manuale e curiosità sono ciò che ricordo maggiormente di quest’uomo che cominciò la sua vita con un grande svantaggio ma che seppe destreggiarsi attraverso ogni difficoltà : «meno male che mi hanno amputato una gamba e non un braccio» soleva dire. Una vita che ha rasentato un margine senza tuttavia rimanerne mai bloccato.