Questo articolo ripercorre il viaggio nell’isola di Sachalin che lo scrittore russo Anton Čechov descrive nell’opera omonima. Molte foto contenute in quest’articolo sono state scattate durante la permanenza di Čechov nell’isola di Sachalin dal telegrafista e fotografo dilettante I.I. Pavlovskij e sono oggi conservate presso il Museo Statale della Letteratura di Mosca.
Le ragioni di un viaggio in apparenza irragionevole

Ritratto di Anton Čechov del 1898 ad opera di Osip Braz (da Wikimedia Commons)
Con queste parole Anton Čechov, all’epoca trentenne, comunicò all’amico Suvorin la volontà di partire per l’isola di Sachalin. Sono i primi giorni del 1890 e la notizia si sparse velocemente per Mosca, città dove Čechov viveva ormai da qualche anno. A nulla valsero le preoccupazioni di amici e familiari. L’autore, già celebre in patria, è risoluto nella sua decisione di intraprendere questo viaggio nonostante fosse malato di tubercolosi. Ma perchè Čechov aveva così tanto interesse ad andare fino all’estremo oriente russo, in una landa desolata, fredda e inospitale? La motivazione dietro a questo viaggio è nobile e profonda: l’autore sentiva infatti di avere un debito verso le classi più umili, quelle che più facilmente finivano alla katorga. L’autore voleve aiutarle a migliorare le loro condizioni com’era accaduto a lui, proveniente da una famiglia che si era da poco affrancata dalla servitù della gleba, scrollandosi di dosso alcune critiche che lo accusavano di non occuparsi di tematiche sociali. Čechov voleva spingersi a Sachalin per vedere con i propri occhi la vita dei deportati, denunciando le terribili condizioni di vita in cui erano costretti a vivere i condannati alla katorga, una mostruosa macchina statale che non serviva a riabilitare i condannati nella società, ma a infliggere loro inutili tormenti e sofferenze.
Il viaggio attraverso la Siberia

Un tarantass (da Wikimedia Commons)
Dopo essersi informato nei minimi dettagli sulle caratteristiche dell’isola di Sachalin e delle condizioni di vita dei detenuti (“mania sachalinosa”, la definirà lui stesso), Čechov era ormai pronto per partire. Il viaggio attraverso la Siberia fu lungo e pericoloso: nel 1890 i lavori per la ferrovia Transiberiana non erano ancora iniziati (sarebbero iniziati l’anno seguente). Il 21 aprile 1890, partì da Mosca in treno verso Jaroslavl’. Da qui, si imbarcò in un battello lungo i grandi fiumi Volga e Kama, fino a Perm, 1.100 km più a est. Da Perm, un tratto in treno fino a Tjumen, ormai in Siberia. Da qui in poi, il viaggio di Čechov continuò a bordo del tarantass, una particolare carrozza per viaggi di lunga durata, e della trojka, una slitta trainata da tre cavalli. Čechov attraversò così per giorni e notti la taiga siberiana, restando affascinato di fronte alla sua estensione che, scrisse, «conoscono solo gli uccelli migratori». Dopo aver attraversato Irkustsk e il lago Bajkal, alla fine di giugno Čechov arrivò finalmente a Stretensk, piccolo villaggio sul fiume Silka. Di qui in poi a Sachalin, il viaggiò di Čechov continuò in battello lungo i fiumi Silka e Amur’. Dopo aver attraversato il breve stretto che separa Sachalin dal continente, l’11 luglio Čechov sbarcò finalmente sull’isola.
L’arrivo a Sachalin

Veduta di Due, uno dei villaggi di Sachalin visitati da Čechov (da Wikimedia Commons)
La prima località visitata dallo scrittore è Aleksandrovsk, piccolo villaggio di tremila anime che costituiva il centro politico e amministrativo dell’isola. Nel piccolo villaggio, Čechov venne accolto come una celebrità: tutti gli abitanti, in segno di rispetto, si toglievano il cappello e si inchinavano al suo passaggio. Durante i primi giorni di permanenza nell’isola, Čechov cominciò subito ad osservare come si svolge la vita nel villaggio: la mattina, ad esempio, veniva svegliato dal rumore dei ceppi e dal tintinnio delle catene che avevano addosso i deportati. Nei giorni del suo arrivo, la città si stava preparando all’evento dell’anno: l’arrivo del governatore dell’Amur, il generale A. N. Korf, previsto per il 19 luglio.
Il giorno del suo arrivo tutta la città era in festa. Il governatore Korf e il luogotenente dell’isola, Kononovic, invitarono Čechov a pranzare insieme. Lo scrittore restò tuttavia sgradevolmente colpito dall’incontro. Se da un lato non mette in dubbio l’erudizione dei due uomini, dall’altro non potè non notare come essi fossero completamente inconsapevoli delle condizioni di vita dei condannati alla katorga. I due uomini, infatti, assicurarono allo scrittore la totale libertà di visita nelle carceri di Sachalin (ad esclusione di incontri con detenuti politici). Affermarono poi che la condanna a vita non esisteva e i lavori forzati non erano pesanti, semplicemente non comportavano alcun vantaggio personale a chi li svolgeva e in questo consisteva il loro peso. Negarono poi che nelle carceri erano presenti catene, sentinelle o teste rasate. Tutte affermazioni che dopo l’indagine di Čechov si riveleranno false e infondate, mettendo in luce l’ipocrisia e la miopia dei due funzionari zaristi.
Il censimento e il viaggio nel carcere di Aleksandrovsk

Manina d’oro mentre viene ammanettata ai polsi (da Wikimedia Commons)
Sin dal suo arrivo nell’isola, Čechov cominciò a redigere un censimento generale. Per sua stessa ammissione, il documento non aveva nessuna ambizione di essere completo o esaustivo, ma nella sua frammentarietà costituiva la più dettagliata fonte sulla popolazione dell’isola, raccogliendo più di ottomila schede di censiti. Nel corso del suo viaggio, Čechov visitò trentanove villaggi su sessantacinque e una quindicina di accampamenti nomadi.
Sin dal suo arrivo, il medico-letterato cominciò a visitare le carceri dell’isola, dove potè riscontrare quanto e le parole di Korf e Kononovic fossero false e infondate. Il primo carcere che osservò fu quello di Aleksandrovsk. Qui vide con i propri occhi come i detenuti fossero costretti a dormire su tavolacci di legno in piccole celle umide, in mezzo a pochi oggetti sparsi alla rinfusa. Sporcizia e cimici schiacciate emanavano un forte odore acido che per ammissione di Čechov «faceva rivoltare l’anima». I servizi igienici, che secondo Čechov i russi detestano con tutta l’anima, erano composti di un semplice bugliolo. In queste condizioni, i detenuti si abbruttivano perdendo ogni tratto di umanità che invece andava tutelato al massimo in vista del loro reinserimento nella società.
Tra i detenuti, Čechov fa conoscenza di “Manina d’oro” (nella fotografia): si diceva che fosse una donna bellissima e che fosse uscita da un carcere siberiano con l’aiuto di una guardia che si era invaghita di lei. Catturata e deportata sull’isola di Sachalin, appare ora anziana, con i capelli ormai grigi, mentre camminava nervosamente nella sua cella come un topo in gabbia.
La miniera di Due

Detenuti che trasportano tronchi a Due (da Wikimedia Commons)
Nelle carceri di Due e Voevodstk la situazione era addirittura peggiore: i condannati alla katorga che lavorano nella vicina miniera erano infatti costretti a trasportare il carbone fino al molo, legati alla loro carriola. Per anni non vedevano altro che il tragitto tra la miniera e il molo. La cosa più insopportabile di tutte stava però nel fatto che i detenuti dovevano sopportare in continuazione una serie infinita di ingiustizie, angherie e prepotenze. Inoltre, Čechov notò che la miniera è di proprietà di una compagnia privata di San Pietroburgo: di fatto, questa aveva ripristinato la servitù della gleba.
Čechov è risoluto nel denunciare la crudeltà e l’inutilità di questo sistema penale in quanto non offriva nessuna prospettiva di reinserimento del detenuto nella società. Usciti dalla prigione, infatti, i detenuti non si trasformavano in coloni liberi come le autorità auspicano, visto che non avevano alcuna competenza a coltivare la terra in un ambiente così ostile, non riuscendo a sviluppare alcuna autonomia visto che in carcere non ne svilupparono alcuna.
La condizione di donne e bambini

Detenuti ad Aleksandrovsk (da Wikimedia Commons)
A Sachalin le donne arrivavano principalmente per due motivi: o per seguire i rispettivi mariti alla katorga oppure in quanto deportate. Le prime molto spesso finivano nella miseria più nera. Non era prevista una razione di cibo per loro e dovevano sfamarsi con quella del marito condannato, insufficiente pure per lui. Per questo motivo, erano spinte a prostituirsi per racimolare un tozzo di pane o qualche spicciolo in più. Anche le figlie venivano spinte a prostituirsi per questo motivo sin dai quattordici anni (ma molto spesso, anche prima); spessissimo, sempre in età adolescenziale, erano vendute a coloni o contadini. In queste condizioni assai precarie, malattie veneree come la sifilide si diffondevano con una spaventosa rapidità. Le seconde, una volta arrivate nell’isola, venivano solitamente cedute a coloni e piccoli contadini, diventando loro concubine. Anche in questo caso, non si pensava nè alla pena nè al ravvedimento delle condannate, ma solo alla loro capacità di mettere al mondo figli.
Anche le condizioni di vita dei bambini erano durissime. La mortalità infantile era molto alta a causa di una dieta composta di pesce essiccato che rendeva i piccoli pallidi e smuti. Le scuole erano del tutto inesistenti nell’isola. Ciò nonostante, essi rappresentavano molto spesso l’unica cosa che tiene in vita i loro genitori, sottraendoli alla disperazione definitiva. I piccoli, apprendendo dal contesto che li circonda, giocavano a fare i vagabondi e sapevano cosa significassero i termini “boia”, “manette” o “convivente”.
La redazione del libro

I detenuti della prigione di Due (da Wikimedia Commons)
Čechov soggiornò nell’isola fino ad ottobre, con l’arrivo della brutta stagione. Dopo un lungo viaggio in mare passando attraverso l’India e il canale di Suez, sbarcò ad Odessa e giunse a Mosca il 9 dicembre 1890. Il resoconto del suo viaggio uscì dapprima a puntate su alcune riviste. Solo nel 1895 pubblicò un’opera a sè stante, dopo un lungo e doloroso lavoro di revisione. Il libro venne pubblicato non prima di alcuni tagli effettuati dalla censura zarista, specialmente nel capitolo XXI, riguardante le torture dei deportati. L’uscita del libro destò interesse per le condizioni dei detenuti a Sachalin. Non ci furono vere e proprie riforme; tuttavia negli anni seguenti vennero istituite numerose raccolte fondi, patrocinate dallo stesso Čechov, per costruire scuole e biblioteche nell’isola.
Quello che forse Čechov non poteva immaginarsi è il fatto che nel XX secolo molte delle atrocità da lui viste nell’Isola di Sachalin si ritroveranno altrove, in molte parti del mondo. Ancora oggi purtroppo molti uomini, donne e bambini vivono in condizioni simili ai villaggi di Sachalin descritti da Čechov. Spetta a noi trovare un modo per raccontare questi luoghi di miseria e oppressione. Perché, come ricordava il grande scrittore russo, se questi luoghi sono il prodotto della nostra società, quest’ultima ha il dovere di parlarne, se non vuole cadere nell’indifferenza e nella meschinità. Sullo stesso argomento, si segnala anche l’opera di Fëdor Dostoevskij Memorie da una casa di morti.