In cima alle Ande

Foto delle foglie di una pianta di coca (da Wikimedia commons)
La foglia di coca è stata utilizzata per diversi scopi dalle popolazioni andine sin dalla notte dei tempi: sminuzzata e mischiata con calce per alleviare la fatica del lavoro in alta quota, ma anche masticata intera per scopi ricreativi. L’importanza della pianta di coca per gli Inca era tale da elevarla a divinità: Mama Coca era in origine una bellissima donna di facili costumi. Gli amanti, gelosi, la tagliarono a metà e la lasciarono sul terreno a morire, ma dal suo corpo nacque la prima pianta di coca, mentre Mama Coca venne elevata a nume tutelare della salute e della felicità. Gli Inca ricavarono dalla coca anche un’unità di tempo: la chucada era il lasso di tempo che una foglia di medie dimensioni necessitava per esaurirsi per l’effetto della masticazione e durava circa 45 minuti.
L’arrivo degli spagnoli nell’area e il crollo dell’Impero Inca, in parte sotto la pressione dei nuovi arrivati, in parte a causa dell’instabilità interna, ebbe come effetto l’incremento della quantità di coca prodotta. Gli spagnoli avevano compreso il potere di questa pianta e la coltivavano per migliorare l’estrazione dell’argento estendendo le ore lavorative degli schiavi e degli indios che lavoravano nelle miniere. Fin da subito, tuttavia, la Chiesa cercò di mettere in guardia contro le reazioni della pianta dopo aver visto gli effetti euforizzanti: con il terzo concilio di Lima del 1582 i vescovi del nuovo mondo cercarono di mettere in guardia contro la coca. La nuova classe sociale dei coltivatori di coca, i cocaleros, disattesero le indicazioni del clero: gli interessi economici in campo erano già troppo grandi.
Alla ribalta. La coca nell’800
La pianta di coca impiegò diverso tempo ad arrivare in Europa poiché la maggior parte dei carichi che facevano vela dal Sud America all’Europa portavano carichi più pregiati: cacao, tabacco e metalli preziosi. Un reale interesse degli Europei si avrà solo nel XIX secolo con i primi studi sui possibili usi medici della cocaina. Le ricerche del neurologo italiano Paolo Mantegazza degli anni ’50 dell’800 esaminarono gli effetti del consumo della pianta di coca sulla psiche umana che egli paragona «alla più pura felicità». Chi ne sbloccherà il potenziale chimico più puro è il chimico Albert Niemann che riprenderà gli studi di Frederick Gaedcke dell’università di Rostock, il quale era riuscito ad isolare un alcaloide che chiamò eritrossilina. Niemann, tuttavia, trovò che questo prodotto era ancora impuro e difficilmente poteva essere usato per scopi medici: nella tesi di dottorato espose un nuovo metodo per l’estrazione di un alcaloide dalla pianta di coca che chiamerà “cocaina”.

Medaglie commemorative del Vin Mariani (da Pycril)
Nei cinquant’anni successivi il prodotto verrà studiato in tutte le possibili applicazioni mediche; in particolare avrà notevole fortuna nel campo delle anestesie locali, con gli studi di van Anrep dell’Università di Wurzburg e il suo esperimento con due rane le cui zampe posteriori venivano immerse in due recipienti, uno con solo acqua e sale, l’altro con la stessa soluzione con l’aggiunta di cocaina. Il medico procedeva poi a dimostrare al grande pubblico le differenze agli stimoli. Esperimenti simili ma legati alle diverse tipologie di anestesia vennero effettuati da Karl Koller e da una lunga serie di medici, tra cui Sigmund Freud che nel 1885 arrivò a scrivere un saggio di elogio alla pianta e alla sostanza che ne era ricavata, Uber coca (Sulla coca), di cui ritratterà i contenuti solo molti anni più tardi.
La coca ebbe notevole successo anche a livello commerciale: nella seconda metà del XIX secolo divennero popolarissimi i vini di coca, preparati utilizzando un vino bordeaux scadente e foglie di coca sminuzzate. L’interazione tra vino e coca funzionava da stimolante per le persone. Il primo e più importante di questi fu il Vin Mariani, prodotto in Francia dal chimico corso Angelo Mariani e che vantava tra i suoi testimonial persino Papa Leone XIII. La grande popolarità di questo prodotto attirò numerosi tentativi d’imitazione, uno dei quali era il vino di coca francese di Pemberton, dal nome di John Styth Pemberton, un medico della Georgia che aveva scoperto la coca durante la Guerra di Secessione. Quando, nel 1886, la contea di Fulton pose un regolamento che anticipava il proibizionismo e mise fuori legge l’alcool, Pemberton dovette sostituire il vino con acqua, zucchero e noce di cola, un frutto proveniente dal Brasile contenente caffeina. Nacque così la Coca-Cola, un nome scelto a causa dell’allitterazione che contiene, molto apprezzata dagli esperti di marketing dell’epoca. La coca, tuttavia, non era inserita solo nei vini e nei tonici: era presente nei dentifrici, negli integratori alimentari e via dicendo.
La coca inizia a far male
Se alla fine del XIX secolo la stragrande maggioranza degli episodi di assunzione di cocaina avveniva per via orale o in luoghi e dosi di somministrazione controllate come avveniva per l’uso medico, dall’inizio del XX secolo in poi, specie tra le fasce più povere della popolazione americana degli stati del Sud iniziava a prendere piede la moda di aspirare la cocaina in polvere con il naso. In questo modo la capacità di assorbimento del prodotto aumenta esponenzialmente rispetto all’ingestione per via orale. Moltiplicando la capacità di assorbimento aumentano gli effetti e con questi i danni prodotti dalla cocaina. L’apparato cardiocircolatorio viene messo sotto stress e anche il sistema nervoso risente di effetti notevoli, con la progressiva incrostazione delle sinapsi e la modifica della chimica del cervello in caso di abuso prolungato.
A seguito dell’epidemia dovuta all’abuso di cocaina nel sud degli Stati Uniti e l’acquisizione delle Filippine, area con un intenso traffico di oppio, il governo di Washington decise di varare una legislazione contro le droghe. Il primo provvedimento fu l’Harrison Act del 1914, a cui fece seguito, dieci anni più tardi, il divieto all’importazione di oppio per qualsiasi scopo. Nel 1934 il Narcotics Drug Act aumentò i poteri dei singoli stati nel contrasto al traffico di droga. Un primo effetto di queste nuove leggi si ebbe già a partire dal 1925 con un progressivo calo del numero di tossicodipendenti che toccò il suo minimo nel 1945 con un decimo dei numeri di vent’anni prima. Il fatto che la cocaina fosse dannosa era ormai un’informazione di dominio pubblico in tutto il mondo e, nonostante alcuni tentativi di impiego nella seconda guerra mondiale da parte dell’esercito nazista, la cocaina uscì quasi del tutto dal mercato. Per rientrarvi aveva bisogno di un’operazione di marketing di grande impatto.
Il grande ritorno

Murales il cui soggetto è Scarface, il trafficante di cocaina interpretato da Al Pacino (da Wikimedia commons)
La cocaina tornò alla ribalta durante gli anni ’70 nonostante fosse sempre illegale. A renderne possibile il ritorno in auge furono tre elementi: la promozione a status symbol, l’aumento della presenza di cocaina sul territorio e le nuove modalità di assunzione. Il primo avvenne grazie all’industria musicale prima e a quella cinematografica poi: riferimenti alla cocaina erano presenti nelle opere dei maggiori musicisti dell’epoca come ad esempio David Bowie, Fleetwood Mac ed Eric Clapton. Allo stesso modo la cocaina era citata in alcuni dei film di maggiore importanza del periodo come Scarface e Easy Rider. Il secondo fattore d’innesco sarà rappresentato dagli enormi quantitativi di cocaina verso gli Stati Uniti e verso l’Europa che tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90 il cartello di Medellin sarà in grado di mobilitare.
La grande novità introdotta dal cartello di Medellin sarà la costruzione di una filiera produttiva interamente nelle mani di un solo attore che sarà appunto il cartello. Il leader dell’organizzazione, l’ex trafficante di parti d’auto rubate Pablo Escobar, aumentò moltissimo le coltivazioni di coca in Colombia grazie agli accordi con i vari attori che partecipavano alla guerra civile colombiana come le FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia), le AUC (Autodefensas Unidas de Colombia) e parti deviate dello stesso esercito colombiano. Prima di Escobar, invece, il 90% della produzione mondiale avveniva tra Bolivia e Perù. Questa circostanza consentiva una filiera più corta, una minor dispersione del prodotto grazie alla vicinanza ma soprattutto minori costi di trasporto. La fortuna di Escobar iniziò a scemare quando il governo colombiano iniziò a stringere accordi per l’estradizione negli Stati Uniti dove era uno degli uomini più ricercati al mondo.
L’ultimo fattore che spinse il commercio di cocaina furono le nuove modalità di assunzione. Tra le nuove tecniche la più importante era senza dubbio il crack, con cui la cocaina veniva sintetizzata in cristalli facendola reagire con una base debole. Questi cristalli venivano poi riscaldati in una pipetta o in una lattina: il fumo che ne scaturiva veniva inalato e l’assunzione a livello polmonare garantiva effetti molto più rapidi e più forti; sfortunatamente è anche una delle modalità d’assunzione che garantisce la maggior dipendenza ed è, quindi, molto più pericolosa sotto il profilo sanitario. Tra gli anni ’80 e ’90 l’espansione di questa nuova modalità di consumo provocò la cosiddetta “epidemia del crack” che flagellò i quartieri più poveri delle città statunitensi.
Il traffico di cocaina dagli anni ’90 ad oggi
Con la fine di Escobar per mano delle forze speciali della polizia colombiana nel dicembre 1993, i nuovi egemoni del traffico di cocaina diventarono i capi del cartello di Cali, i fratelli Miguel e Gilberto Orejuela. Il primo effetto del cambio al vertice fu un aumento del tasso di violenza correlato al traffico di cocaina dovuto ai cattivi rapporti del cartello con diversi attori coinvolti nella guerra civile colombiana: a causa di queste nuove lotte il cartello non era più in grado di avere una presa salda sull’intera filiera produttiva, con la conseguenza che la disponibilità di cocaina sui mercati statunitensi ed europei calò leggermente. Una nuova ripresa si ebbe con il cartello di Norte del Valle a fine anni ’90. Questa nuova organizzazione nacque dalle ceneri del cartello di Medellin e la leadership era composta da una sorta di “consiglio di amministrazione” in cui ogni membro si occupava di uno specifico ambito del traffico: chi del trasporto, chi della coltivazione, chi della raffinazione e via dicendo. I membri principali del cartello che sovrintendevano alle operazioni erano Diego Leon Montoya Sanchez, Wilber Varela e Hernando Gomez Bustamante. L’allargamento del numero di teste al comando, tuttavia, si rivelò presto un fattore di divisione per quest’organizzazione. Nel 2004 Varela e Bustamante stavano contrattando un’amnistia con la DEA (Drug Enforcement Agency), evenienza a cui Montoya era dichiaratamente contrario: il cartello si spaccò in due con l’inizio di una guerra civile che replicava in piccolo la guerra civile colombiana. Montoya si schierò con le forze extraparlamentari di ispirazione socialista (le FARC) mentre Varela creò una propria fazione che si pose sotto la tutela dei paramilitari di destra. La guerra civile ebbe fine quando nel 2008 Varela venne trovato morto in un albergo di Merida, in Venezuela, mentre nel 2010 Montoya verrà arrestato dalla polizia colombiana.

L’arresto di Gomez Bustamante prima dell’estradizione negli Stati Uniti (da Wikimedia Commons)
Con l’esplosione del cartello di Norte del Valle il predominio colombiano sul traffico di cocaina finì e il baricentro si spostò verso nord, in Messico, dove un complesso panorama di organizzazioni di diverse dimensioni si spartirà (spesso con metodi violenti) gran parte del traffico di cocaina verso il Nord America. Lo scenario in Colombia vedrà una trasformazione del panorama in una miriade di organizzazioni di piccole dimensioni, i cosiddetti cartelitos, le cui fedeltà erano spesso mutevoli e che in genere ricoprivano poco peso nel traffico di stupefacenti.
I cartelli messicani hanno stretto accordi con la ‘Ndrangheta per il trasporto verso l’Europa che segue principalmente due rotte. La prima, africana, vede il passaggio in nave dalla Colombia o dal Venezuela fin sulle coste dell’Africa Occidentale. Da lì poi le rotte salgono verso nord oltre il deserto del Sahara fin sui porti della Libia, da dove poi la cocaina approda nei porti dell’Italia meridionale (solitamente Gioia Tauro). La seconda rotta è interamente marittima e approda nei porti della Spagna o dell’Olanda.
Dallo sguardo all’analisi dinamica del traffico di cocaina e delle organizzazioni che ne hanno preso parte negli ultimi 40 anni si comprende come la tendenza sia quella di un progressivo allargamento delle leadership che evolvono le strutture gerarchiche e verticistiche in network dove l’importanza di un attore è data non dall’altezza raggiunta nell'”organigramma” ma dal numero di connessioni dell’attore e dalla forza di queste. La storia del traffico di cocaina insegna inoltre come la popolarità di uno stupefacente funzioni in cicli. A man a mano che gli effetti peggiori di una droga si mostrano presso la società civile e ne danneggiano le attività quotidiano iniziano le attività di repressione, da sommarsi alla cattiva reputazione prodotta dai casi di tossicodipendenza, che allontanano potenziali nuovi utenti. Quando la memoria degli effetti peggiori si perde, generalmente in un paio di generazioni, inizia un nuovo ciclo.