Spetta a ogni individuo il compito di costruire la propria scala di valori e cercare di attenersi a quella, non al fine di ottenere un compenso in terra o in cielo, ma con l'obiettivo di godere ora per ora, giorno per giorno, della straordinaria esperienza di vivere.

Rita Levi-Montalcini
Abbi il coraggio di conoscere, Rizzoli, 2013
Prendendo in considerazione alcuni momenti della vita di Rita Levi-Montalcini, che fu trascorsa in una sorta di costante viaggio per poter portare avanti le proprie ricerche, ho tentato di far emergere la capacità della scienziata di proseguire con dedizione il suo lavoro, e il ruolo sociale che ha avuto nell’ispirare le future generazioni di donne a proseguire in tale direzione.
La partenza
Dopo essersi diplomata nell’istituto femminile Margherita di Savoia di Torino, ed essersi ribellata – quantomeno intellettualmente – dall’ingombrante figura del padre, il quale non credeva che le donne potessero avere un ruolo centrale dal punto di vista lavorativo, la studentessa iniziò a frequentare la facoltà di medicina presso l’università di Torino. Grazie all’ambiente aperto dal punto di vista culturale, Levi-Montalcini poté stringere rapporti con numerose figure di spicco in campo medico. Prima tra tutte, data l’importante ruolo che svolse nella sua formazione, fu il professor Giuseppe Levi. Fu infatti grazie a quest’ultimo se la scienziata poté avere delle basi solide, su cui in seguito fondò la sua carriera da ricercatrice. Dopo essersi laureata cum laude, nell’ottobre del 1936 le venne data ufficialmente l’abilitazione alla professione medica a Parma.

Illustrazione di alcune leggi razziali sul giornale La difesa della razza (da Wikimedia Commons)
A causa dell’introduzione da parte del fascismo delle leggi razziali, nel 1938 la sua carriera si trovò ad un bivio. La loro messa in pratica impediva a tutti i ricercatori di origini ebraiche di proseguire attivamente la propria carriera. Quest’ultimi non potevano infatti pubblicare gli esiti delle ricerche a loro nome, tantomeno avanzare di ruolo all’interno degli istituti di ricerca. La fuga verso l’estero sembrava essere l’unica soluzione possibile per salvarsi da tale condanna.
Il primo viaggio e la Guerra
Desiderosa di continuare le proprie ricerche e incitata dal professor Levi, la giovane ricercatrice prese la decisione di spostarsi temporaneamente nella città belga di Bruxelles. Purtroppo, dopo pochi mesi dall’inizio della sua nuova esperienza, fu costretta a fare ritorno in Italia. L’invasione della Polonia da parte dei nazisti era un rischio troppo grande da correre data la vicinanza della città ai territori del regime. Al suo ritorno decise quindi di allestire un laboratorio clandestino nella sua abitazione dove poté portare avanti i suoi esperimenti senza destare le attenzioni del regime. Ivi rimase fino al 1942, anno in cui iniziarono i bombardamenti sulla città. Mettendosi in fuga assieme alla famiglia, dopo un tentativo fallito di entrare in Svizzera, si recò a Firenze. Fortunatamente, dopo pochi mesi, la città passò in mano alleata.
Ritengo importante aprire una breve parentesi perché fu proprio nella città medicea che Montalcini-Levi ebbe la prima esperienza come medico in prima linea. Entrata nella Croce Rossa Italiana, poté vedere con i propri occhi le devastazioni portate dalla guerra. La donna, che non era priva di sensibilità, alla vista di tante sofferenze scelse che avrebbe dedicato la sua vita intera alla ricerca. Fece il suo ritorno nella città natale solamente nel luglio del 1945.
Una carriera tra l’America e l’Italia

La Washington University (da Wikimedia Commons)
Finalmente premiata dell’enorme mole di lavoro svolto durante gli anni della guerra, nel settembre del 1947 la ricercatrice partì alla volta degli Stati Uniti. Nuovamente accompagnata dal suo mentore, fu invitata a partecipare ad un progetto internazionale di ricerca presso la Washington University di Saint Louis. Fu proprio uno studio portato avanti nel laboratorio allestito clandestinamente nella sua casa a Torino sull’evoluzione di alcuni embrioni di pollo ad attirare l’attenzione dello scienziati americani. Quello che doveva essere un progetto di qualche mese, si rivelò infine il suo trampolino di lancio che la fece rimanere in America per più di trent’anni.

Rita Levi-Montalcini negli anni Settanta (da Wikimedia Commons)
Grazie alla preparazione acquisita, non volendo rimanere estranea al momento di difficoltà che stava attraversando il suo paese d’origine, scelse di avviare una serie di collaborazioni tra gli istituti di ricerca italiani e le università americane. L’obiettivo principale era di creare maggiori opportunità per gli studiosi italiani che desideravano affacciarsi al mondo della ricerca. Essendo complesso elencare per intero i riconoscimenti ottenuti dalla scienziata ed i ruoli da essa assunti per promuovere la scienza e la cultura in generale, come coronamento alla sua carriera, ricordo il premio Nobel ricevuto nel 1986. Prima donna italiana a riceverlo “per eccezionali meriti scientifici” esso rappresenta in maniera assoluta il grado di importanza assunto da Levi-Montalcini a livello internazionale.
Una vita per il sociale
Oltre ad essere un’eccezionale studiosa, non essendo priva di sensibilità, è doveroso ricordare che la scienziata ricoprì importati ruoli anche dal punto di vista sociale. La creazione di una onlus in Africa per dare la possibilità alle donne africane di continuare i propri studi ed istruire i medici locali, e le sue battaglie sociali, come ad esempio sull’approvazione della legge sull’aborto, rappresentano solamente in parte quanto fatto dalla donna in ambito umanitario.
In conclusione, escludere una determinata categoria di persone dal poter fare emergere le proprie doti, per motivazioni di tipo etnico, come avvenne durante le dittature nello scorso secolo, per ragioni legate al proprio sesso o alla propria provenienza, rappresenta già di per sé una sconfitta. Volendo proiettare la nostra società nel futuro, è fondamentale che gli tutti individui possano dare liberamente il proprio contributo, al di là delle diversità.