Una medium russa in giro per il mondo: Madame Blavatsky
Helena Petrovna Blavatsky (in russo Елена Петровна Блаватская) fu una medium russa che, per ampliare le proprie conoscenze e i propri poteri, decise di viaggiare per il mondo col fine di conoscere i misteri delle popolazioni indigene. Nata in una famiglia nobiliare a Dnipro nel 1831, iniziò sin da giovanissima a viaggiare, sia nell’Impero russo che in Europa. Le sue ricerche erano volte a creare una connessione tra scienza, religione e filosofia per arrivare ad ottenere una conoscenza completa della realtà.
Proprio per questo motivo, fonderà a New York nel 1875 la Società Teosofica. La Teosofia è una disciplina che nasce da una costola dello Spiritualismo, “dal malessere degli adepti” secondo Blavatsky, con lo scopo di ricercare e migliorare le conoscenze del passato glorioso degli antenati ariani, ovvero una mitica razza antica che avrebbe abitato i territori europei e asiatici. Per far ciò, Blavatsky intraprese un lungo viaggio in India, che le permise di conoscere i riti e il folklore di quelle terre.
La ricerca di una razza ariana da scoprire

Helena Petrovna Blavatsky (da Wikimedia Commons)
La medium cercò di approfondire le origini della razza ariana con uno studio delle tradizioni sanscrite. Cercò però anche di studiare il folklore indiano, tramite racconti e riti popolari. Per questo motivo, ho scelto il racconto del suo secondo viaggio in India (1879-80), raccolto nel libro Dalle Cave alle Giungle dell’Indostan, per studiare la figura della teosofa russo-statunitense. Madame Blavatsky aveva infatti anche la cittadinanza statunitense perché, nel 1875, rinunciò ai titoli nobiliari per evitare di essere perseguitata dalla polizia britannica come spia russa. Infatti, in quel periodo il Tibet, che Blavatsky desiderava fortemente visitare, era inaccessibile ai forestieri, ma soprattutto ai cittadini russi. Questo perché il Tibet, luogo di scontro tra russi e inglesi, era sotto il dominon della corona britannica e, come richiesto dagli stessi tibetani, non permetteva l’entrata a certi stranieri per evitare problemi politici. Ma prima di conoscere il viaggio di Blavatsky in India, è meglio avere una piccola base storica.
La conquista dell’India e la nascita dell’orientalismo
Verso la fine del Settecento la penisola indiana divenne un possedimento della Compagnia delle Indie orientali britannica, che gestiva il subcontinente per conto della corona inglese. Data la lontananza geografica e culturale, serviva una conoscenza diretta e specializzata della cultura e della storia dell’India per poterla governare. Per questo, dalla fine del Settecento arrivarono nella penisola alcuni studiosi esperti di Oriente, detti orientalisti, i quali avevano una conoscenza erudita della storia basata sui classici che vollero successivamente riproporre in India.
Ma la loro conoscenza della cultura indiana era filtrata attraverso i loro occhi occidentali, che non potevano scorgere tutte le peculiarità delle diverse realtà dell’India. Per colpa di questo, gli stessi orientalisti vollero imporre alla cultura e alla religione indiana un’omogeneità incoerente con la ricchezza culturale delle società della penisola. Inoltre, al fine di giustificare l’occupazione coloniale, gli inglesi dovevano far credere la loro dominazione un male necessario, dovuta all’inevitabile progresso della storia, ma allo stesso tempo volevano assicurarsi che la cultura e la religione indù “vera” non venisse persa. Ma qual era questa India “vera”?
La nascita dell’India come cultura omogenea
Per secoli in Occidente l’India era stata descritta come una società con una cultura statica, omogenea nello spazio e nel tempo, che per millenni non era stata riformata o mutata. Questa aveva resistito alle influenze o alle contaminazioni esterne e allo stesso tempo non aveva avuto esperienza di eresie o eterodossie al suo interno. Questa visione era inoltre supportata dai pandit, importanti studiosi indiani dei testi sanscriti. Infatti, tutti gli orientalisti si affidavano alla guida dei pandit, sopprattutto perché il loro punto di vista era vicino al progetto di omogeneizzazione della cultura e della società indiana spiegato sopra. Ma una delle conseguenze più gravi di questo processo culturale, che ha riverbero ancora oggi, fu la “brahmanizzazione” della legge a opera di William Jones (1746-1794), il più eminente degli orientalisti inglesi.
La creazione delle caste

Sir William Jones (da Wikimedia Commons)
William Jones interpretò la società castale indiana come formata da gruppi divisi gerarchicamente, che non potevano assolutamente mischiarsi tra loro. Questo giudizio fu molto criticato da diverse fonti discordanti, ma queste venivano bollate come “decadenti” e accusate di non rispettare la vera essenza della cultura indiana. Gli inglesi assumevano così un ruolo di protezione, in quanto “buoni colonizzatori”, ma che allo stesso tempo nuoceva all’India. Infatti, la cultura indiana veniva continuamente filtrata dagli inglesi che la controllavano, creando una serie di stereotipi che non riflettevano la complessità del subcontinente. Questo atteggiamento verso la cultura indiana, inoltre, provocò una vera e propria mania culturale in Occidente, che possiamo vedere nella stessa Blavatsky.
L’arrivo in India
Anche Madame Blavatsky fu influenzata dalla mania orientalista e, per questo motivo, intraprese tre viaggi in India e altrettanti tentativi di raggiungere il Tibet. Nel secondo di questi tre viaggi, Blavatsky partì insieme ad una delegazione della sua Società Teosofica. Una volta approdati a Bombay, nel resoconto la medium descrive il panorama che le si presenta davanti come molto caotico, un caos tipico delle “genti asiatiche”, mostrando da subito i suoi pregiudizi. La prima tappa per Blavatsky fu un giro con il pandit Dayanand Saraswati Swami. La sua figura di questo pandit è interessante, poiché cercò di riformare il credo attraverso la lettura dei Veda, un antichissimo libro sanscrito del XX secolo. Di seguito, potete vedere quanto lo stesso Dayanand Saraswati Swami afferma sul rapporto coi colonizzatori.
Il prosieguo del viaggio
La seconda tappa del viaggio è la stessa Bombay, dove la medium assiste ad un rito funebre dei Parsi, ovvero dei seguaci di Zoroastro. Dopo aver descritto questo rito, Madame Blavatsky passa a raccontare le vicende e i legami che condivide con l’India. La medium si sente vicina a questa realtà proprio per la sua presunta immutabilità e per il suo essere incontaminata da agenti esterni, fatto salvo dai conquistatori, proprio come avevano formulato i primi orientalisti britannici. Anche per questo motivo ammirò molto i riformatori come Saraswati, che si erano dati il compito di riportare la religione alla purezza ancestrale “dell’antica India”.
Successivamente, il racconto continua con una presentazione di altre sette e dottrine non indù e con la descrizione di un sito di culto giainista, che fa anche da ospedale per umani e animali. Oltre alle pratiche di cura, Blavatsky riporta anche uno scambio di battute che si può ascoltare nell’audio sotto.
La critica dei teosofi a coloro che rispondono citando saggi scientifici è un riflesso del ripudio verso la perdita del mondo delle origini, fondamentale per i pandit. Il materialismo scientifico contamina e fa perdere il contatto col mondo spirituale e ciò porta alla decadenza dell’umanità. Secondo Blavatsky l’alterità, che è l’unica cosa che ci lega ancora alla dimensione spirituale, va quindi salvaguardata dal freddo materialismo occidentale, tramite le ricerche dei teosofi in Oriente.
Il mondo magico
Secondo gli Europei, in India la magia costituiva un’importante elemento della vita quotidiana. Proprio questa convinzione spinse madame Blavatsky a recarsi nel subcontnente. Per capire cosa si intende per “magico” in questo contesto, ci possiamo affidare alle ricerche dell’antropologo Ernesto De Martino. Il magico è per De Martino un momento storico in cui si verifica la “crisi della presenza”. Questa è definita come un momento in cui le condizioni economiche e sociali vengono stravolte portando ad un momento di tensione. Tale tensione viene risolta solo attraverso un rituale magico che, secondo De Martino, apre un ponte tra il mondo reale e quello dell’alterità. Qui riportiamo alcune frasi sui risultati del viaggio.
La ricerca in India
Dunque, la ricerca del folklore in India – quella di Blavatsky ma anche di tanti altri viaggiatori – è pensata per andare incontro a delle necessità europee. Il mondo occidentale industrializzato ha abbandonato il magico per la scienza, creando una crisi dell’identità dell’uomo. I teosofi, che subiscono fortemente questa crisi, fanno riferimento ai popoli indigeni per “curare” la cultura occidentale dal male della razionalità. Si attua quindi un processo di unione della loro cultura con la nostra: il mondo magico indiano è, per i teosofi, compatibile con quello europeo.
Il vero frutto del viaggio di Blavatsky in India sarà il libro La voce del Silenzio, pubblicato nel 1889. In esso la medium racchiude i saperi raccolti in tutte le tappe del suo viaggio. Inoltre, qui sottolinea che il sacro libro Dei Precetti Dorati, alla base della sua opera, veniva donato dalle scuole mistiche ai propri iniziati che erano in antichità seguaci di Buddha, indù e ariani. Madame Blavatsky dona così al mondo occidentale una conoscenza mistica millenaria, ma solo coloro che hanno un passato comune possono recepire e attuare questi riti per una purificazione dello spirito.
In questo senso le ragioni di fondo del viaggio in India di Blavatsky possono essere definite come mera appropriazione culturale di un gruppo di esterni verso culti e folklore di una realtà a loro lontana, ma idealmente vicina attraverso speculazioni su una mitica origine comune. Il riferimento di Haruman, mitico progenitore degli Europei, contrapposto a Darwin, padre dell’evoluzionismo, ci fa capire come sia importante screditare per la teosofia lo scientismo usando il riferimento ad un passato mitico.
Il glorioso nella teosofia

Emblema della Società Teosofica (da Wikimedia Commons)
“Il glorioso passato ariano, le antiche usanze ariane, gli antichi Ariani” furono i veri obiettivi della ricerca della delegazione dei teosofi in India. Questa ricerca forsennata per un’identità, la cui perdita nel secolo scorso è stata così traumatica, è stata anche al centro dell’opera Cultura di destra (Milano, Nottetempo, 2011) di Furio Jesi. Jesi afferma che lo sviluppo industriale ha comportato una crisi di valori e soprattutto di presenza nello strato superiore della società occidentale. Proprio questa crisi ha portato Blavatsky a compiere un viaggio così difficile ma fondamentale per i teosofi.
Conclusioni
Il misticismo ottocentesco si è formato nelle classi alto-borghesi e aristocratiche, in preda alla crisi della presenza causata dal progresso del razionalismo, per poi riflettersi nel Novecento nei partiti politici di estrema destra, riprendendo le formulazioni su miti e sulle leggende presenti anche nelle opere Blavatsky. Questa tensione ha avviato lo sviluppo di ricerche sul magismo – non di carattere scientifico – che potessero riportare la società europea ad un ordine ideale riflesso in un passato mitico. Ma questo passato è basato principalmente sul colonialismo, sulla distorsione dei fatti e sull’appropriazione culturale. Tutti termini che oggi conosciamo bene. Per quanto Madame Blavatsky cercasse solo di riconnettersi al suo lato spirituale, le sue azioni ebbero un forte riverbero in tutto il mondo, forse arrivando anche a noi.