Le origini

Manifesto, 1810 (da British Museum)
Sara Baartman nacque negli anni ’70 del ‘700 nella valle sudafricana di Camdeboo. Il suo vero nome è andato perduto, sostituito da quello assegnatole dalla famiglia di coloni europei sulle cui terre visse la sua infanzia e giovinezza. Figlia di pastori Khoi, la piccola Sara crebbe assistendo ai cambiamenti che stavano trasformando la valle dei suoi antenati in una terra sempre meno africana e sempre più coloniale, segnata dalle violenze e dalle razzie dei proprietari terrieri bianchi.
Eppure, la sua gente costituiva una vera ossessione per gli europei: fin dai tempi delle prime scoperte geografiche, i Khoi (detti “ottentotti”, da alcune parole olandesi che significano “balbettare”) erano stati descritti e raffigurati come una popolazione al confine tra umanità e bestialità. Gli esploratori non ne comprendevano la lingua e i suoi caratteristici clicks, aborrivano le loro usanze ed erano intrigati dai loro corpi così differenti.
Luci e ombre a Città del Capo
Nel 1779 il proprietario della fattoria in cui viveva Sara morì. La giovane donna venne perciò ceduta a un mercante che la portò a Città del Capo, dove iniziò a lavorare come serva prima per la ricca famiglia degli Elzer e poi per quella ben più umile dei Cesar. In quella città Sara imparò l’olandese e conobbe i gusti e le mode europee, entrando in contatto con uno stile di vita sempre più distante dalla cultura delle sue origini. Ebbe una bella storia d’amore con un soldato semplice, ma sperimentò anche momenti dolorosi con la perdita del loro figlio e il ritorno in Olanda del suo amante.
A quell’epoca, Città del Capo era un fiorente centro portuale attraversato da migliaia di soldati e marinai europei smaniosi di sperperare i loro pochi averi nelle locande e nei lupanari. In particolare, essi erano attratti dalle dicerie sul fascino erotico e la licenziosità delle donne “ottentotte”: è in questo contesto che Sara fu spinta a esibirsi dal suo proprietario Hendrik Cesar.
Una selvaggia a Londra

Volantino che pubblicizza l’arrivo della “Venere ottentotta”, 1810-11 (da Wikimedia Commons)
Il chirurgo Alexander Dunlop aveva conosciuto Sara all’Ospedale Navale presso cui la donna si mostrava a pagamento: avendone intuito il potenziale economico, nel 1810 propose a Sara e a Hendrik di partire per Londra. In quegli anni, infatti, la capitale inglese era affamata di oggetti esotici che simboleggiavano allo stesso tempo l’opera civilizzatrice della potenza coloniale britannica e il perturbante fascino del diverso. E così Sara cominciò a esibirsi come la “Venere ottentotta”, la cui presenza scenica si situava a metà tra il fenomeno da baraccone e lo specimen etnografico.
Ma a rendere famosa la “Venere ottentotta” furono gli abolizionisti guidati da Zachary Machaulay, convinti che fosse stata condotta come schiava nella libera Londra. Il caso finì in tribunale e si concluse senza conseguenze per i protettori di Sara, ma tale operazione finì per politicizzare l’immagine della “Venere ottentotta”: il suo corpo grottescamente caricaturizzato cominciò a popolare la satira inglese di inizio secolo.
Un amaro epilogo
Dopo essersi esibita in diverse città dell’Inghilterra e dell’Irlanda, rimasta ormai sola, Sara partì alla volta di Parigi assieme alla misteriosa figura di Henry Taylor. Anche la Città dei Lumi voleva vederla nei panni della “Venere ottentotta”: il suo costume attillato metteva in evidenza il posteriore, oggetto dell’ambiguo desiderio erotico degli uomini europei. Gli ornamenti tribali, invece, ammiccavano alla richiesta del pubblico francese di esperire la seduzione del diverso.
Anche la scienza era interessata alla “Venere ottentotta”, poiché attraverso la comparazione anatomica gli studiosi intendevano classificare ogni specie vivente. Gli “ottentotti” costituivano un caso estremamente affascinante agli occhi degli scienziati europei, convinti che i loro corpi celassero il segreto della differenza tra natura e cultura. Il nuovo protettore di Sara, Reaux, fu ben disposto a “sacrificarla” sull’altare della scienza dietro lauto compenso, concedendo allo zoologo Georges Cuvier di esaminarne le nudità. Pare che Sara non volle spogliarsi completamente di fronte agli studiosi, ma a nulla valse la sua debole resistenza. Alla fine del 1815 la donna morì e il suo corpo fu reclamato da Cuvier, che ne fece un calco e ne conservò lo scheletro e i genitali.
Ritorno a casa
Sara, suo malgrado, viaggiò per tutta la vita. Spesso costretta a farlo perché vittima della violenza coloniale, altre volte spinta forse dalla speranza in una vita migliore, la “Venere ottentotta” non smise di viaggiare nemmeno dopo la sua morte. I suoi resti furono esposti per quasi duecento anni nei musei di Parigi, fino a quando nel 1994 il governo sudafricano avviò le trattative diplomatiche per esigerne la restituzione. Nel 2002 inizia così l’ultimo viaggio di Sara alla volta del Sudafrica. Dopo intense discussioni e scontri tra diversi gruppi etnici che ne reclamavano le origini, Sara venne sepolta in una piccola cittadina sudafricana dove riposa ancor oggi.
Qui sotto potete ripercorrere le principali tappe dei viaggi di Sara Baartman.
Qui sotto invece potete approfondire la vita di Sara Baartman e del suo personaggio, la “Venere ottentotta”.