L’Impero Antonino
Seconda metà del II secolo d.C.: Roma attraversava il suo periodo di massima espansione. L’impero si protendeva dalla Lusitania alla Mesopotamia, dalla Britannia all’Egitto e tutte le coste attorno al Mar Mediterraneo (Mare Nostrum) recavano il vessillo romano.

Marco Aurelio (121-80 d.C.) (da Wikimedia Commons)
Tuttavia la situazione era tutt’altro che pacifica: alla morte dell’imperatore Antonino Pio (138-61 d.C.) l’impero passò nelle mani di Marco Aurelio. Questi, cosciente delle difficolta di governo che gli aspettavano, ottenne dal senato di associare su un piano di parità il fratello adottivo Lucio Vero, in una forma di diarchia che ricorda il precedente “principato” doppio di Augusto e Agrippa. I due regneranno insieme fino al 169 d.C., quando Lucio Vero morirà prematuramente nei pressi di Altino; Marco Aurelio, invece, proseguirà il suo incarico da solo per oltre un decennio, fino alla sua morte nel 180.

Lucio Vero (130-69 d.C.) (da Wikimedia Commons)
Il fronte orientale
La prima questione da risolvere appena eletti imperatori riguardava l’Oriente. Il Regno Partico, acerrimo nemico di Roma, aveva posto sul trono del Regno di Armenia un discendente del sovrano partico Vologese IV, sostituendo il rappresentante romano. Lucio Vero distaccò delle legioni dal fronte settentrionale e le inviò in Mesopotamia, sotto il comando dei generali Marco Stazio Prisco, Marzio Vero e Avidio Cassio. Proprio quest’ultimo riportò delle vittorie decisive che permisero all’esercito romano di arrivare fino a Ctesifonte, capitale del Regno Partico (166 d.C.). Fu probabilmente durante questi spostamenti che i soldati romani entrarono in contatto con quel morbo che causerà oltre 150.000 morti nella sola Roma.
Un testimone d’eccezione
Un testimone importante permette di ricostruire le vicende: il medico Galeno, originario di Pergamo. Egli fuggì da Roma quando la pestilenza sopraggiunse ma venne richiamato dallo stesso Marco Aurelio ad Aquileia. Qui le truppe acquartierate erano infatti falcidiate dalla “peste”. È grazie soprattutto a lui se possiamo conoscere i principali sintomi della malattia: febbre alta, pustole cutanee nerastre, tosse con espulsione di sangue, nausea, vomito e ulcerazioni vescicali. Questa descrizione fa propendere gli studiosi verso una diagnosi di vaiolo, sebbene il dubbio rimanga. Non possediamo infatti corpi mummificati risalenti a quell’epoca. Nella stessa descrizione di Galeno non sono presenti altri sintomi caratteristici che permetterebbero di identificare chiaramente il vaiolo.

Microfotografia del virus del vaiolo (da PIXNIO)
Galeno ci informa anche sui rimedi che la medicina dell’epoca aveva formulato.
Il nuovo fronte e la propagazione
Il morbo si stava già diffondendo in Medio Oriente e in Asia Minore. Grande spinta al contagio la diedero le truppe richiamate indietro dopo che una nuova minaccia si stava profilando lungo il confine danubiano. Una serie di tribù barbare infatti, Marcomanni, Longobardi e Vandali principalmente, spinti dalla minaccia dei Goti provenienti da Est, premevano lungo il confine romano. Questo era presidiato da popolazioni alleate dei romani poste a protezione della frontiera, che ravvivarono lo spirito bellico alla comparsa dei nuovi invasori. Questi continui spostamenti di truppe romane dai vari fronti fecero propagare la malattia in tutti gli angoli dell’impero, fino alla stessa Roma che, come abbiamo visto, subirà grandi ripercussioni, data anche la sua alta densità abitativa. I soldati infatti tornavano al proprio accampamento, nella propria città, nella loro casa, contagiando familiari e concittadini.
èStoria. Roma, Galeno e la peste antonina (165-180 d.C.). Discussione tra Arnaldo Marcone (storico di Roma antica) e Jerry Toner (storico dell’antichità), con il coordinamento di Alessio Sokol (docente di greco e latino)
Le conseguenze
Vista la scarsità di fonti a nostra disposizione, è difficile quantificare il numero preciso di vittime della peste antonina: si va dal milione e mezzo ai venti milioni di morti. E l’incidenza non poteva che essere elevata tra le truppe (15/20%), al punto che Marco Aurelio dovette ricorrere a un massiccio arruolamento dalle popolazioni barbare alleate.
Ma le conseguenze non furono solo a livello demografico: si verificarono anche a livello economico, sociale e religioso. Tra le varie si possono citare la diminuzione dei prezzi dei terreni, le nuove possibilità di ascesa sociale — visti i posti amministrativi lasciati vacanti — e il rafforzamento del Cristianesimo come religione salvifica.