L’immagine di copertina è tratta da Monica Zornetta, La terra tra le mani. L’epopea veneta nella bonifica dell’Agro Pontino dopo la Grande Guerra, Treviso, Editrice Storica, 2015.
La regione dell’Agro Pontino nel Lazio
La “mal’aria”

Una zanzara (da Pexels)
La malaria è una malattia parassitaria che viene trasmessa all’uomo tramite la puntura delle zanzare Anopheles. Il suo termine deriva dall’italiano “mal-aria” ed è ormai entrato nel vocabolario della letteratura medica internazionale.
La febbre, causata dalla puntura di zanzare infette, si manifesta inizialmente in modo irregolare e dopo poco tempo la sintomatologia tende a ricomparire periodicamente e con varia gravità. Alcuni dei sintomi della malaria sono: sudorazione, picchi intermittenti della temperatura, brividi, violenti attacchi di cefalea, vomito, diarrea e delirio. Le donne in gravidanza erano soggette ad aborti spontanei, parti prematuri e gravi emorragie. Nei casi più gravi, con coinvolgimento di organi vitali, la morte sopraggiungeva rapidamente in seguito a coma, stress respiratorio acuto o anemia. Nei casi non letali, il morbo causava menomazioni croniche quali ingrossamento della milza, deperimento, anemia e faticabilità. Nei casi più fortunati, il malato guariva completamente, sebbene successivi episodi potessero provocare ricadute.
Una malattia “italiana”
Il fenomeno era talmente diffuso in Italia che all’epoca si affermava che «la malaria è una malattia italiana» e, di conseguenza, gli studi più importanti a riguardo risalgono a fine dell’Ottocento e sono stati merito di ricercatori italiani. Questa malattia colpì la penisola da tempi antichissimi fino al 1970, anno in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha depennato il paese dalla lista dei paesi colpiti. L’Italia fu uno dei pochissimi paesi europei ad essere stato colpito da questa piaga a causa della presenza nel territorio di molte zone paludose, dove le zanzare si moltiplicarono e prolificarono.
In queste terre che furono così ostili per lungo tempo, le ragioni geografiche e ambientali della diffusione della malaria si unirono indissolubilmente alla vita quotidiana delle comunità che abitavano nelle zone limitrofe. La conformazione di queste aree acquitrinose è dovuta principalmente alla mancanza di montagne oppure alla loro altitudine relativamente bassa che non permette la presenza di nevi perenni sulle cime. Di conseguenza, i fiumi non riescono ad avere una portata e un flusso continuo di acqua corrente derivata dallo scioglimento della neve, come per esempio avviene nelle zone alpine. Questi fiumi si seccano in larga parte e formano pozze stagnanti, creando conformazioni paludose e ideali per la proliferazione delle zanzare infette. Alcune delle zone più colpite da questa piaga erano ad esempio il Delta del Po nella Pianura Padana a Nord, le campagne tra gli Appennini e il mare nel Mezzogiorno e le isole.
Composizione topografica del Mezzogiorno
La malaria e l’uomo
Lo stretto rapporto che intercorre tra le infezioni da parte di zanzare infette e la vita quotidiana delle comunità locali è ben visibile nella storia dell’Italia contemporanea. Le conseguenze dell’epidemia sul piano economico, oltre che sanitario, erano disastrose. I terreni rimanevano incolti o erano coltivati in maniera inefficiente perchè i contadini sfuggivano al lavoro pericoloso e debilitante nelle piane malariche emigrando in altre zone d’Italia o all’estero.
Le varie fasi del processo di bonifica hanno risultati altalenanti nella battaglia contro la malaria. Inizialmente causano un aumento dei casi poiché la popolazione, che in precedenza abitava solo temporaneamente le zone infestate, era costretta a risiedervi per tutto l’anno ed era esposta maggiormente alle punture e alle infezioni. Una volta concluse queste opere di grande risanamento delle paludi portano ad un abbassamento dei contagi grazie alla costruzione di impianti idraulici e di canali di drenaggio delle acque.
Oltre alla necessità di rendere coltivabili quei terreni tramite le bonifiche, un altro fattore che determina l’acuirsi del numero di infezioni è la guerra. Poichè tutte le risorse sia economiche che sociali vennero ingoiate nello sforzo bellico, alla lotta alla malaria vennero sottratti finanziamenti, ricercatori, medici, insegnanti, volontari. Inoltre, la popolazione civile era molto più esposta al contagio poiché gli sfollati si riunivano in gran numero in campagna, mentre le donne e i bambini rimasti a casa dovevano rimpiazzare gli uomini nei campi rimasti abbandonati.
Inoltre, le truppe tedesche sfruttarono la conformazione territoriale italiana e queste dinamiche sociali per mettere in atto una vera e propria guerra batteriologica, causando epidemie di malaria in varie zone d’Italia. Durante la ritirata alla fine della Seconda Guerra Mondiale, distrussero appositamente le opere di risanamento create in precedenza con l’intento di ricreare le condizioni ideali e un ambiente favorevole per la proliferazione delle zanzare portatrici del morbo.
Gli anni del Fascismo
Nel periodo tra i due conflitti mondiali le politiche legate alla “ruralizzazione” e alla “bonifica integrale” spinsero molti contadini ed operai dal Nord a compiere delle vere e proprie migrazioni verso queste aree del Sud. Queste persone, soprattutto provenienti dal Veneto, vivevano in povertà, a causa della diffusa disoccupazione ed aspiravano quindi ad un miglioramento delle proprie vite. A questo si deve aggiungere la controtendenza italiana all’urbanizzazione industriale tipica di quegli anni, osteggiata dal regime fascista perché ritenuta un potenziale pericolo e bacino di idee sovversive e di sinistra. Le campagne in tutta l’Italia si svuotarono a causa della povertà, mentre le industrie delle città non riuscirono ad accogliere questa massa di disoccupati. Il risultato fu che migliaia di contadini vagarono per l’Italia alla ricerca di lavoro.
La lotta alla malaria tramite le “bonifiche integrali” diventò con la Legge Mussolini del 1928 uno degli aspetti centrali della politica fascista. Per far fronte a queste problematiche, il regime attuò una campagna sociale ed economica volta a sostenere l’emigrazione verso queste aree paludose e infestate da zanzare infette con la promessa di poter possedere case e terre nelle zone da bonificare. Come area di sperimentazione della nuova strategia venne scelto proprio l’Agro Pontino, una zona del Lazio desolata e infestata dalle zanzare e largamente disabitata. L’immane opera di bonifica idraulica, agraria, igienica ebbe inizio nel 1928 e fu terminata dieci anni dopo, nel 1939. Il territorio bonificato e liberato dalle zanzare venne suddiviso in appezzamenti ampi dodati di una casa, una stalla, un fienile e un pozzo. Questi poderi vennero assegnati ai coloni selezionati, di origine veneta per lo più, cui venne data la possibilità di riscattare la terra tramite esose rate annuali.
Il viaggio verso l’Agro Pontino
Questa testimonianza di uno dei tanti migranti è ben significativa per esprimere il contesto del periodo tra le due guerre nel Veneto. La regione versava in condizioni di miseria diffusa e profonda dalla quale i contadini e gli operai cercavano una via d’uscita. Il culmine di questa situazione disastrosa fu la crisi economica del ’29 che non lasciò più scelta: o si emigrava lontano in America oppure ci si spostava verso il centro Italia nell’Agro Pontino. I coloni erano privi di tutela sindacale e di rappresentanza politica e furono reclutati tra i disoccupati di tutta la penisola. In quell’area che fu tra le più colpite dalla malaria, i migranti erano alloggiati in edifici senza protezioni, scoperti da un’adeguata assistenza sanitaria e pagati con un salario bassissimo.
“Si partiva come si poteva”: si viaggiava cercando di portare con sé i pochi beni posseduti, in bicicletta o con alcuni treni organizzati dall’Opera Nazionale Combattenti (ONC). L’ONC era un’associazione affiliata al Partito Nazionale Fascista (PNF) che aveva il compito di organizzare e realizzare le onerose opere di bonifica. Ad essa si affiancava il Commissariato per le Migrazioni e la Colonizzazione Interna (CMCI) che si occupava invece di selezionare e coordinare i futuri coloni che da altre regioni si recavano nell’Agro Pontino.
Tra le famiglie selezionate da questi enti, la scelta ricadde spesso sui veneti, sia per l’alto tasso di disoccupazione presente nella regione sia per la credenza che la popolazione di quelle zone fosse avvezza alla piaga della malaria e quindi più adatta, “temprata”. In effetti, nel Veneto la presenza di zanzare infette era sicuramente cospicua e portò quindi le autorità a credere che il popolo veneto potesse abituarsi più velocemente degli altri al clima paludoso e inospitale dell’Agro Pontino.