In copertina: malati di tifo in una scena del film La battaglia della Neretva (Bitka na Neretvi. V. Bulajić, 1969).
Guerre e malattie
Il movimento dell’uomo ha sempre portato alla diffusione delle malattie. Questo soprattutto da quando il mondo è maggiormente interconnesso, come ha potuto mostrarci la pandemia che ci ha colpiti all’inizio del 2020. Ma questa sempre più grande connessione tra paesi, continenti, popoli diversi non è una situazione nuova. Sappiamo già che dall’inizio del Novecento tutto si è fatto progressivamente mondiale, come si può intuire anche dal nome delle due guerre che hanno sconvolto la prima metà del secolo scorso.
La guerra stessa è una situazione in cui le malattie si diffondono facilmente. Pensiamo a come durante i conflitti gli eserciti, le popolazioni, i rifugiati e altre categorie sociali entrano in contatto. In più, durante la guerra la situazione di salute delle persone è sempre precaria. Oltre alle violenze portate da ogni conflitto, si aggiungono la mancanza di mezzi di disinfezione, di cibo, di assistenza medica. Tutto sembra opporsi alla sopravvivenza dell’uomo.
Perché il tifo nella Jugoslavia della Seconda guerra mondiale?
Ho deciso di raccontarvi la storia del tifo esantematico nella Jugoslavia della Seconda guerra mondiale perché ritengo abbia alcune caratteristiche che la rendono diversa dalle altre epidemie. Per prima cosa, come molti sanno, la Seconda guerra mondiale si caratterizza dal massacro sistematico di interi gruppi di persone nei lager. Questi luoghi della morte si mostrano come un posto ideale, nel senso più dispregiativo del termine, per la proliferazione del batterio che causa il tifo. In più, gli spostamenti forzati di popolazione per “ripulire” i territori dalle persone indesiderate furono un’altra causa dello scoppio delle epidemie.

Malati di tifo a Niš (Serbia) durante la Prima guerra mondiale (da Wikimedia Commons)
C’è un altro motivo. Quando si ricerca online il tifo in Jugoslavia, la maggior parte dei risultati riguarda la terribile epidemia di tifo che colpì l’area durante la Prima guerra mondiale. Non c’è di che stupirsi. È un evento catastrofico che ancora oggi ha grande significato culturale nei Balcani. Si pensi al solo fatto che l’epidemia mise in stallo per sei mesi il conflitto contro le truppe austriache. Queste ultime temevano talmente tanto la malattia da rifiutarsi di entrare in contatto con i militari serbi, tra i cui ranghi il tifo proliferava.
Volevo quindi cercare di proporre al nostro pubblico una storia scarsamente ricercata, con le poche fonti che ho potuto reperire online. In questo modo ho voluto dare l’opportunità a coloro che leggeranno questo articolo di avvicinarsi un po’ di più alla cultura balcanica. Dopotutto, anche il tifo durante la Seconda guerra mondiale rimane un ricordo ancora presente. Lo dimostrano i numerosi film sui partigiani prodotti durante il periodo socialista, amati anche oggi. Allo stesso tempo, ho colto l’occasione per ricordare le sofferenze che gli jugoslavi subirono. Insieme a queste, anche la persecuzione di altri gruppi di persone, oggi spesso dimenticate.
La Seconda guerra mondiale in Jugoslavia

Adolf Hitler a Maribor (Slovenia) nel 1941 (da Wikimedia Commons)
Riassumere in poche frasi ciò che successe in Jugoslavia tra il 1941 e il 1945 è impossibile e non è il mio scopo. Per dare però una base di conoscenza storica al lettore, ricorderò brevemente gli elementi più importanti che scaturirono dall’invasione nazista del regno, il 6 aprile del 1941.
Il Regno di Jugoslavia, al tempo governato dalla dinastia serba dei Karađorđević, era considerato una minaccia da parte delle forze dell’Asse. Questo per la sua multiculturalità, che andava contro l’idea di “purezza della razza”. Inoltre, la Germania nazista voleva fare dei Balcani una zona da controllare e sfruttare economicamente.

Stjepan Filipović: partigiano jugoslavo ed eroe nazionale (da Wikimedia Commons)
La diffusione dei nazionalismi anche nella penisola diede man forte all’invasione. Oltre alle zone direttamente occupate dalle forze dell’Asse, i governi collaborazionisti aiutarono nella distruzione del regno.
Ma la lotta di coloro che non accettavano questo “Nuovo Ordine” non si fece aspettare. Certo, anche la Resistenza ebbe le sue problematiche. In particolare, fu ostacolata dalla sua divisione in due gruppi principali: i Cetnici e i partigiani. Il primo gruppo, filomonarchico, si macchiò presto di crimini contro i musulmani e si ritrovò presto a collaborare con gli invasori. Il secondo gruppo, di ispirazione marxista e guidato dal futuro presidente Josip Broz Tito, ebbe un altro destino.
Nel frattempo, cerchiamo di comprendere cosa rimaneva del regno di Jugoslavia dopo l’invasione. Ci aiuterà la seguente mappa:
Un boia inevitabile
Ora che abbiamo compreso meglio la situazione, possiamo finalmente concentrarci sulle epidemie di tifo. Come verrà spiegato meglio nella prossima presentazione, il tifo si diffuse sia all’interno che all’esterno della Jugoslavia. Si diffuse tra numerose categorie sociali, soprattutto quelle già colpite da altre sofferenze: fame, torture, ulteriori malattie.
A differenza dell’uomo, però, la malattia non discrimina ma coglie ogni opportunità che le si pone davanti.
Come abbiamo appena visto, servirà l’instaurazione della Repubblica Federale di Jugoslavia per fermare la proliferazione del tifo. Per quanto ci siano opinioni discordanti sulla Jugoslavia comunista, rimane evidente che la stabilizzazione politica del territorio fu un elemento necessario per debellare la malattia.
Così si conclude questa storia. Spero però possa far riflettere il lettore ed aiutarlo a comprendere meglio una realtà vicina, ma a volte troppo poco conosciuta. Io vi lascerò con la lettura della testimonianza di un chirurgo inglese, arrivato nei Balcani per aiutare i partigiani. Se non è più possibile ascoltare la sua voce, gli presterò la mia. Se non si possono più alleviare le sofferenze delle vittime, che almeno la loro storia ci possa aiutare ad aver la consapevolezza per evitare che si ripetano.