Una menzogna agognata
È nei periodi di maggiore instabilità politica ed economica che complotti e fake news trovano terreno fertile. Il seguente testo analizza brevemente l’insurrezione del cosacco Emel’jan Ivanovič Pugačëv, che si autoproclamò il defunto zar Pietro III durante il regno di colei che aveva contribuito alla sua morte: l’illuminata Caterina II. Le politiche della sovrana entravano in contrasto con la multinazionalità dell’impero. Dopo secoli di espansione verso Est, questo comprendeva varie etnie insofferenti verso la centralità dell’Impero russo.
La figura di Emel’jan Ivanovič Pugačëv entra in questo discorso di rapporti di forza tra potere centrale zarista e realtà locali contadine e tribali. Egli diede inizio all’ultima grande rivolta contadina della storia russa, che durò dal 1773 al 1774. Marciando insieme ai cosacchi e ai contadini di città in città, per dirigere il suo esercito verso il cuore della Russia, puntò sulla libertà dal servaggio e dal giogo zarista. In questo modo Pugačëv riuscì a spaventare l’aristocrazia, tornando spesso negli incubi dei conservatori russi dell’Ottocento.
La Russia del Settecento
La bufala di Pugačëv si diffuse a macchia d’olio tra il 1773-74, ed ebbe successo grazie all’oppressione che subivano gli ultimi dell’Impero. La loro speranza era di cambiare le loro condizioni di vita e riportare la giustizia nel loro mondo, fatto di vessazioni e stenti. La Russia era infatti in una fase di sconvolgimenti politici e culturali, che portavano spesso cosacchi e contadini a unirsi in confronto armato contro il potere centrale zarista.
Caterina II concluse la fase di instabilità politica iniziata dalla morte di Pietro I, diventando la quarta donna a salire al trono. In questo periodo l’appoggio della nobiltà terriera russa divenne fondamentale per i pretendenti al trono, anche perché il successo politico comportava la possibilità di rimanere uccisi in qualche congiura. Questo andò a discapito dei contadini e delle numerose popolazioni non russe dell’Impero, creando forti tensioni nelle zone di confine, non del tutto domate dal governo centrale.
La rivolta dello Jaik
Qui resistevano, infatti, numerose popolazioni che al momento della rivolta si unirono alle fila di Pugačёv, aiutando nell’intercettazione dei rifornimenti dell’esercito russo. In queste zone e in questo contesto, ebbe inizio la rivolta nello Jaik, il 13 gennaio 1772, dove s’inserì Pugačëv depredando i mercanti di passaggio. Di lì in poi le azioni di brigantaggio iniziarono ad attirare sempre più persone che volevano unirsi a questo cosacco che diceva di essere lo zar restauratore delle antiche libertà. A luglio di quell’anno, i rivoltosi già misero sotto assedio la città di Jaik. Ma perché il leader cosacco decise di assumere l’identità di Pietro III?
Il ritorno dello zar-martire
Pietro fu il primo zar a introdurre nel dibattito politico russo la possibilità di liberare i servi, aveva abbassato la tassa sul sale – che era molto gravosa sulla vita contadina – e fatto concessioni ai “Vecchi credenti” (eretici russi). Dunque il suo ritorno era stato salutato come manifestazione della volontà divina di porre fine al malgoverno degli zar. Per questo, dopo la deposizione, divenne un martire per la libertà degli umili contro l’avidità degli aristocratici.
Le azioni di Pugačëv avevano un messaggio chiaro: destituire un potere oppressore e sostituirlo con uno basato sulle libertà locali. Nel suo “Manifesto”, redatto nel luglio 1773, offriva a tutti coloro che lo avrebbero seguito di vivere liberamente e in pace, predicava la libertà di culto e la cessazione di tutte le oppressioni nei confronti delle varie etnie, oltre alla fine del servaggio e alla possibilità di scegliersi i propri capi locali. Infatti il “Manifesto” venne scritto per Pugačёv da un musulmano. Sebbene sembrino delle normali rivendicazioni da parte di un brigante, per giustificare le sue azioni, queste erano sinceramente seguite da lui e la suoi seguaci.
La corte del falso zar
Nel frattempo, Pugačëv iniziò anche a creare una vera e propria corte, per dare più autorevolezza alle sue pretese. Elaborò un motto, Redivivus et ultor, e per lui vennero fabbricate insegne. Aveva anche un gabinetto di governo, che comunicava con i clan alleati. Insomma, si dotò di tutto ciò che uno zar avrebbe dovuto possedere per guadagnare credibilità tra i contadini. La menzogna, così orchestrata, si diffuse rapidamente.
L’uso di pope e mullah (i sacerdoti russo-ortodossi e musulmani rispettivamente) divenne indispensabile per il cosacco-zar. Soprattutto per creare alleanze con gli atamanni ed entrare nelle comuni contadine e spargere la notizia che lo zar-martire era tornato. Questi ukaz (editti imperiali) venivano prodotti dai suddetti, che rappresentavano la materia grigia del “regno” di Pugačëv. Questi rendevano possibile ampliare il sostegno delle masse e le file dei rivoltosi. Abbiamo testimonianze grafiche, prodotte successivamente, che mostrano come la rivolta fosse sostenuta dai ceti popolari, e documenti che provano come questi sabotassero le azioni militari di repressione. In tutto ciò la nobiltà locale venne duramente colpita con confische e uccisioni da parte dei rivoltosi, portando a conseguenze psicologiche e culturali di grande rilievo nella storia dell’impero russo.
La fine delle “guerre contadine”
Le vicende del cosacco-zar si conclusero nella regione del Volga. Lì non riuscì ad avere il supporto necessario per poter attaccare Mosca, la capitale storica della Russia. Dopo che il suo esercito di contadini venne messo in fuga, venne arrestato e portato in gabbia a Mosca, nella città dove voleva farsi proclamare zar. La sconfitta di Pugačëv segnò la fine di quel periodo di instabilità politica in Russia e di conflitto aperto tra il potere dell’autocrazia e delle classi subalterne, periodo che la storiografia sovietica chiamò “delle guerre contadine”.
L’atteggiamento repressivo dello Stato verso i contadini fu dovuto al “fantasma di Pugačëv” e alla menzogna da lui architettata. Questo alimentò il terrore dell’aristocrazia verso la possibilità che masse di contadini potessero imbracciare le armi per sovvertire l’ordine costituito. Inoltre, lo stato di seconda cittadinanza verso le altre popolazioni accentuò le spinte centrifughe che divennero il punto debole dello zarismo nel 1917.