L’attentato
La mattina del 19 febbraio 1937 il viceré di Etiopia, Rodolfo Graziani, presiedette la cerimonia per la nascita del primogenito dell’erede al trono nel cortile dell’ex residenza imperiale ad Addis Abeba. La celebrazione avvenne in concomitanza con la festa copta della Purificazione della Vergine. Riprendendo la tradizione etiope, il viceré donò l’elemosina ai poveri e agli invalidi della città, attorniato dalle autorità italiane e locali. Verso mezzogiorno la cerimonia venne interrotta dal lancio di alcune bombe a mano che causarono sette morti e cinquanta feriti, tra cui Graziani. Nella confusione del momento i militari e le camicie nere aprirono il fuoco e uccisero gran parte dei presenti.

Il generale Rodolfo Graziani mostra le ferite riportate dopo l’attentato (da Wikimedia Commons)
Gli attentatori, gli eritrei Moges Asgedom e Abriha Deboch, approfittarono della situazione per fuggire, aiutati da un autista, Simi’on Adefris.
Tre giorni di rappresaglia
Nei tre giorni successivi Addis Abeba venne messa a ferro e a fuoco dalle camicie nere e dall’esercito regolare. Dal 19 al 21 febbraio interi quartieri della città vennero incendiati e gli etiopi uccisi senza distinzioni di età o genere. Il 21 febbraio Graziani, sotto la volontà di Mussolini, ordinò la fine della rappresaglia, ma le violenze non finirono in quel momento. L’attentato era stato preparato ed eseguito solo da due persone, le quali lavoravano, peraltro, negli uffici politici del Governo Generale italiano ad Addis Abeba. Per Graziani una simile spiegazione era inaccettabile: il crimine mise in dubbio l’efficienza dei sistemi di sicurezza ma anche la sua stessa autorità.
La pista inglese
Secondo Graziani l’attacco del 19 febbraio non fu elaborato dall’interno, ma rappresentò la conseguenza di un complotto più vasto che coinvolgeva i servizi segreti inglesi e le élites politiche, intellettuali e religiose dell’Etiopia. La teoria della cospirazione si basava su indagini sbrigative e poco attinenti ai fatti; la necessità di trovare subito dei colpevoli portò alla diffusione di notizie false e di finte accuse. La Gran Bretagna venne subito accusata di complicità con l’attentato in quanto offrì asilo al negus e al Governo etiope in esilio. Sulla base di tali accuse vennero colpite le imprese commerciali britanniche come la Mohamedally e le missioni evangeliche straniere, in particolare protestanti.
Il ruolo dei notabili e degli intellettuali
I fatti del 19 febbraio offrirono alle autorità fasciste la possibilità di eliminare i “Giovani Etiopi”, la futura classe dirigente etiope e i cadetti della scuola militare di Holetta, la spina dorsale dell’esercito imperiale, uccisi il 26 febbraio 1937.

Febbraio 1937. Etiope decapitato durante la rappresaglia (da Wikimedia Commons)
I notabili amhara, la nobiltà e le autorità religiose che non si sottomisero al dominio italiano vennero considerati conniventi con l’attentato e condannati a morte o deportati nei campi di concentramento nelle altre colonie.
Debre Libanòs
Nel maggio del 1937 si consumò l’ultimo atto delle vendette legate alle vicende del 19 febbraio. Sin dalle prime indagini gli inquirenti riportarono dei sospetti sul coinvolgimento del monastero di Debre Libanòs, fulcro della cristianità copta, i quali vennero confermati nelle relazioni finali. Nonostante mancassero prove certe, Graziani ordinò al generale Maletti di agire contro il monastero. Tra il 21 e il 29 maggio 1937, in base ai resoconti ufficiali, vennero fucilate 452 persone tra monaci e diaconi; è significativo constatare che le autorità militari italiane fecero leva sull’odio religioso tra musulmani e cristiani; infatti le truppe coloniali scelte per eseguire le fucilazioni erano composte esclusivamente da libici e somali.

Maggio 1937. Debra Libanòs, Preti copti prima della loro fucilazione (da Wikimedia Commons)
Le teorie del complotto sull’attentato a Graziani offrirono alle autorità fasciste il pretesto per poter colpire le strutture di potere politiche e religiose etiopi, che potevano rappresentare una forma di resistenza o un ostacolo nei confronti dei progetti di conquista totale dell’Etiopia. Ne conseguì una politica violenta e repressiva la quale, tuttavia, non sortì l’effetto sperato: la resistenza etiope non si placò e verso la fine del 1937 Mussolini sollevò Graziani dall’incarico di viceré e lo affidò al duca Amedeo di Savoia. Quest’ultimo conseguì una politica più conciliatrice seppur sempre segregazionista. Il dominio italiano in Etiopia e in Africa Orientale si concluse nel maggio 1941 con l’occupazione delle truppe britanniche.
Debre Libanòs. Docu-film del 2016, scritto da Antonello Carvigiani e diretto da Andrea Tramontano
Fascist Legacy. Documentario della BBC del 1989 sui crimini di guerra italiani commessi durante la Seconda Guerra Mondiale